
sabato, 6 luglio 2013
12 Giugno 2010
lunedì, 14 giugno 2010
14 Giugno 2010Una festa africana. Non è solo l’immagine dell’evento straordinario che si svolge in questi giorni in Sudafrica e simboleggiato da un giovanissimo ottantenne di nome Desmond Tutu che balla sul palco sotto i riflettori del mondo intero. E’, in piccolo, anche la festa che a Nomi, promossa dall’associazione "La Savana", mette insieme tante persone, nere, bianche e mulatte. L’Africa dei colori ineguagliabili e affascinante, ma anche forte ed orgogliosa, niente a che vedere con le immagini stereotipate dei bambini con la pancia gonfia che a ben vedere possiamo incontrare in ogni centro-periferia dello sviluppo.
E’ l’Africa dalle straordinarie potenzialità, il continente meno popolato del mondo, ricco di materie prime, di storia, di culture e di saperi. Ed oggi impoverito da modelli di sviluppo imposti dalle grandi potenze che nulla hanno a che vedere con le culture autoctone.
Un Africa che non chiede aiuti, ma di ricostruire relazioni virtuose e connessioni fertili. Come quella che ci propone Jean Pierre Piessou Sourou con l’espressione africa@europa.it. Un breve momento di parola, nel tardo pomeriggio di domenica, ma profondo e che avverto in fortissima sintonia nelle parole di Jean Pierre come in quelle di Pape Siriman Kanuote che s’intrecciano con le mie e quelle di Lia Beltrami Giovanazzi.
Un’Africa che chiede invece conoscenza e memoria. Di quel che eravamo, da una parte e dall’altra del Mediterraneo. Di quel che era ed è, ad esempio, il Senegal di Mamadou (l’artefice di questa festa giunta ormai alla terza edizione), di Pape e dei tanti amici conosciuti in questi anni del loro migrare verso di noi e di quel che eravamo noi, terra di migranti e di coloni che si è dimenticata troppo in fretta della sua povertà.
Il messaggio che ci viene dall’Africa è profondo. Riguarda la vita, il concetto di limite, il significato delle cose. Riguarda certamente anche le contraddizioni di questo tempo, i conflitti. Desmond Tutu, il giovane vecchio che balla davanti a centinaia di migliaia di persone, è anche l’arcivescovo della riconciliazione. Di quel Sudafrica che è stato in grado di uscire dall’apartheid senza che la vendetta prendesse il sopravvento, che piuttosto dei Tribunali si è servito dell’elaborazione del conflitto. Quel che non abbiamo ancora imparato a fare.