
mercoledì, 16 giugno 2010
10 Settembre 2009venerdì, 11 settembre 2009
11 Settembre 2009Se mi si chiede di che cosa c’è più bisogno in questo tempo, la mia risposta è la seguente: di formazione e di classe dirigente. Di avere a che fare, almeno sul piano politico, non con persone che la pensano come me, ma di persone che pensano. Che vuol dire, in primo luogo, avere capacità di sguardo, curiosità, voglia di meravigliarsi. Significa avere un proprio profilo e non rincorrere gli avvenimenti e la ricerca spasmodica del consenso. E, infine, cercare di interrogarsi, responsabilmente, sulle strade da seguire affinché ogni individuo si senta meno solo, parte di un’umanità sempre più segnata da una comunità di destino. Per questo ritengo davvero importante che un gruppo di persone abbiano dato vita ad una scuola di formazione politica. Averlo fatto a Roma, dove la politica è sinonimo di potere e centralismo, è ancora più meritorio. Averla intitolata a Danilo Dolci, non solo un atto di risarcimento verso un pensiero a cui la politica non ha saputo dare cittadinanza, ma anche un tratto di sensibilità.
Quando, il 21 gennaio scorso, mi è stato chiesto di portarvi un contributo sul tema della "banalità del male" ho trovato un gruppo di persone attentissime ed esigenti, che chiedevano di ritrovare il filo conduttore di un impegno personale e collettivo fuori dagli schemi e dai rituali di una politica incapace di ripensarsi. La visione che in quell’occasione ho proposto è riuscita evidentemente a toccare le loro corde tanto che mi hanno chiesto di ritornare in quella libreria dell’Ostiense dove persone di diversa o nessuna collocazione politica hanno percorso insieme un itinerario di pensiero. Questa volta a parlare di "politica", non in senso lato, ma proprio di quel che la politica organizzata dovrebbe saper mettere in campo, nelle idee come nelle forme dell’agire.
Ed eccomi qui, dopo Macerata ed un passaggio da Orvieto dall’amico Ali Rashid, attraverso un Appennino segnato dall’incuria, strade che non vengono sistemate da anni, case e territori abbandonati a dispetto della dolcezza dei luoghi. Alle sei del pomeriggio, la saletta della libreria "Le Storie" è colma di gente, donne e uomini di diversa generazione ed esperienza politica, alla ricerca di spunti per ripensare o dare significato il proprio impegno.
Scelgo di mettere al centro della mia riflessione l’Europa. L’Europa come paradigma sovranazionale, l’Europa come proposta di pace, come progetto federativo, come stimolo per superare la frattura storica fra oriente e occidente. Ma anche l’Europa che non conosciamo e che non abbiamo nelle corde, l’Europa della paura e dell’effetto "Bolkenstein". L’Europa come elemento d’identità, perché oggi l’Europa e il territorio sono le dimensioni possibili di una politica che provi a stare nei processi della modernità.
Parlare a Roma di una politica europea e territoriale sembra quasi inverosimile. Dico senza mezzi termini di ritenere insopportabile la prospettiva di aver davanti a me un anno di liturgia garibaldina e di unità nazionale. Non solo non mi tirano sassi, sembrano pure d’accordo. Se avviene, vuol dire che il bisogno di cambiare lo schema di gioco è percepito anche nella capitale. In una sinistra plurale che fatica a stare nei suoi contenitori, vecchi o nuovi che siano, c’è bisogno di scartare, di "sbagliare gli ingredienti", di tradire. Attorno a me ci sono esponenti del PD romano che si ritrovano nelle mie parole, mi dicono di Zingaretti (presidente della Provincia di Roma) e di alcuni esponenti dei municipi locali su questa stessa lunghezza d’onda. Non ho ricette da proporre loro, se non di sperimentare, ognuno dove crede e "senza balaustra", libertà di pensiero. Perché, come diceva Hannah Arendt, "il senso della politica è la libertà".
Sono le 21.30 che riparto per Trento. Non mi posso fermare a Roma, visto che l’indomani mattina c’è un consiglio provinciale straordinario. A Barberino Mugello, verso l’una di notte, la stanchezza prende il sopravvento e sono costretto a fermarmi in un anonimo Motel senza qualità. Un po’ come la politica che abbiamo.