Gradsksi Muzej
domenica,1luglio 2012
18 Aprile 2010
lunedì, 19 aprile 2010
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domenica, 18 aprile 2010

Sarajevo. Il canto del muezzin mi sveglia al mattino presto e così, ancora un po’ assonnato, entro nello spirito del luogo. Ha un bel dire Kusturica che Sarajevo non è più quella di un tempo. E’ vero certamente che la guerra si è portata via almeno diecimila figli di quella città, che una parte della popolazione se ne è andata, che c’è stato un esodo dalle campagne verso la città che ne ha in parte modificato la composizione sociale, che la guerra l’hanno vinta i nazionalisti (di tutte le parti) e tante altre cose ancora. Eppure la forza di quella città ancora la vedi nella dignità delle persone anziane, nel fascino delle sue moschee, nella laboriosità dei suoi artigiani lungo le vie che dalla piazza della città vecchia salgono verso la collina.

Sono contento di essere qui, seppure per poche ore. L’incontro che abbiamo programmato intorno alle attività sul turismo responsabile ha un esito positivo. L’aver scommesso qualche anno fa sul turismo responsabile come ambito di valorizzazione delle unicità dei luoghi, di ripesa economica ed insieme di conoscenza di un pezzo imprescindibile di Europa, non ha ancora dato i risultati che avremmo voluto nonostante il cuore del vecchio continente sia ai più largamente sconosciuto. Troppi ancora i pregiudizi, profonda l’ignoranza. Si preferisce farsi suggestionare da un povero diavolo come Brosio che, dopo la sua mamma e la coca, ha "visto" la Madonna a Medjugorje, apparsa una volta a Lourdes ma almeno un centinaio di volte nelle colline dell’Erzegovina dove l’industria del pellegrinaggio non conosce tregua nonostante il Vaticano e la stessa chiesa di Zagabria abbiano più volte diffidato dal culto di Medjugorje.

Una storia che andrebbe raccontata, fatta di estremisti ustaša, fanatismo, traffici d’armi, colossal americani, scomuniche, rapimenti e… milioni di pellegrini.

Nel pomeriggio scegliamo la strada più lunga per il ritorno, per il piacere di andarci a prendere la bosanska kafa a Mostar, nel piccolo locale nei pressi del "vecchio" ponte dove – quando mi capita di soggiornare nella capitale erzegovese – vengo al mattino presto a godermi il primo sole.

Quello stesso ponte distrutto nella guerra dalle cannonate dei croati nell’intenzione di cancellare il simbolo della storia turca di questa città, colpi che partivano proprio dalle colline intorno alla città in fondo non troppo lontane dai luoghi delle apparizioni. Oggi quello stesso ponte ricostruito viene ammirato dai pellegrini italiani che dopo essere andati a Medjugorje almeno arrivano fin qui, ma che niente affatto s’interrogano su quel che è accaduto e nemmeno sanno che quel ponte veniva bombardato dagli amici di Padre Jozo che dell’industria di Medjugorje è il grande artefice.

Alcuni di questi si fermano a parlare con noi, vengono da Milano e ci chiedono che cosa facciamo lì. Diciamo loro che stiamo arrivando da Sarajevo e ci guardano strani come a domandarsi "che cosa si può andare a fare a Sarajevo?".

Proprio a questo dovrebbe servire il lavoro di associazioni come "Viaggiare i Balcani" e i viaggi di conoscenza che vengono organizzati, qui come in altri paesi della regione. E’ una grande scommessa, ma i luoghi di cui parliamo sono troppo interessanti da non indurci a desistere.

Non abbiamo il tempo per fermarci oltre, vedere gli amici di qui, assaporare l’aria della Neretva. Dobbiamo ripartire e tiriamo fino ad arrivare a Senj, sul mare degli Uscocchi (i pirati che nel XiV e XV secolo assalivano le navi veneziane), dove ci fermiamo a prendere una frittura di calamari e a dormire. Ci risveglieremo l’indomani in riva al mare, là dove nasce la bora, il vento di Trieste.

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