martedì, 13 aprile 2010
13 Aprile 2010giovedì, 15 aprile 2010
15 Aprile 2010mercoledì, 14 aprile 2010
In Consiglio prosegue la discussione sul DDL della Lega sul numero di ragazzi stranieri per classe. Ma chi è lo straniero? Le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi, nati in Trentino da famiglie provenienti da paesi altri che cosa sono? Stranieri? Eppure è così, fino ai diciott’anni di età sono apolidi, non hanno cittadinanza alcuna.
Per queste persone l’italiano non sarà la lingua materna, ma è la lingua madre, molto spesso la insegnano ai loro stessi genitori, oltre ad avere l’opportunità di conoscere anche la lingua normalmente parlata in casa. Detta in altre parole, hanno sotto questo profilo una marcia in più. Per quegli studenti che invece sono da poco migrati nel nostro paese, la facilità d’apprendimento della nuova lingua è molto rapida, quand’anche la lingua scritta sia un po’ più ostica.
Dov’è quindi il problema? L’integrazione non è solo la comprensione e l’uso appropriato della lingua, ma da tante altre cose, che rimandano in primo luogo ai luoghi comuni e all’ignoranza che pervadono le nostre comunità. L’integrazione scolastica oggi ha a che vedere in primo luogo con il pieno dispiegarsi del diritto di cittadinanza, il che significa riconoscere le identità che vanno incontrandosi, avere un po’ di dimestichezza con le storie e le geografie, con le letterature e le musiche e così via. Vuol dire ri-conoscersi. E poi diritti e cultura della responsabilità. Ma di chi sto parlando, di "noi" o di "loro"?
Delle nuove frontiere dell’interculturalità abbiamo parlato la settimana scorsa nell’incontro per la nuova fase di "Millevoci", ma c’è un baratro fra come se ne è parlato in quella occasione e la discussione oggi in quest’aula. C’è nelle parole dei rappresentanti della Lega un astio e un rancore verso tutto quel che sa di cultura e di complessità, che riflette quel che si sente nei bar di paese, poi non tanto diverso dal disprezzo fra campagna e città, fra chi "lavora" e gli intellettuali, che si nutre di pettegolezzo, di leggende metropolitane, di volgarità urlate, di pornografia. Di questa descrizione del popolo loro sono l’espressione, certo. Non della dignità, ma dell’invidia e del rancore.
Nonostante governino l’Italia da anni, loro sono i rappresentanti del popolo incazzato contro lo Stato e le istituzioni in genere, contro le regole e contro i soprusi delle burocrazie. Non importa che il loro premier sia il campione di tutti i privilegi e le immunità, quel che odiano sono la sinistra e l’incoerenza dei suoi rappresentanti che parlano della scuola pubblica e poi portano i loro ragazzi nelle scuole private.
Sto parlando di scuola ma potrei descrivere con le stesse parole il risultato elettorale, il voto nelle province che sovrasta quello delle città, delle cinture operaie tradizionalmente di sinistra che ora votano per la Lega, un voto che nell’aula del Consiglio provinciale viene di continuo evocato per dire che chi comanda in Italia sono loro e che prima o poi toccherà anche al Trentino finire nelle loro mani.
In effetti noi continuiamo a parlare alla razionalità delle persone, loro si rivolgono direttamente alle pance, agli umori, agli istinti più inconfessabili che magari c’erano già prima, ma che ora non conoscono freni inibitori. La Lega è come la guerra, uno spazio di libertà tribale dove tutto è possibile.
La discussione sulla scuola è così la fotocopia di ogni altra discussione. Nel pomeriggio affrontiamo la mozione proposta dal nostro gruppo per avviare un lavoro d’indagine sulle povertà e sulle politiche si contrasto ed il tono non è poi tanto diverso. "Tutto si dà agli extracomunitari, niente ai trentini". Messaggi facili, demagogici, che fanno leva sul torto subito, che parlano all’incertezza del presente e alla paura del futuro. Che in Trentino ci sia un welfare considerato ai primi livelli, il reddito di garanzia introdotto con la finanziaria, servizi efficienti… non conta niente.
Per tornare un attimo alla scuola, si dice che quella trentina è allo sfascio, ma chi viene da altre regioni ci dice che non abbiamo idea di quel che abbiamo. E forse nemmeno sanno che i nostri insegnanti hanno un contratto che porta nelle loro buste paga trecento euro in più rispetto ai loro colleghi italiani. Sempre meno di quel che dovrebbe prendere un educatore che fa bene il suo lavoro, s’intende. Ma infinitamente di più di quel che prende un insegnante rumeno che oltre tutto (si fa per dire) si trova a dover "comprare" i suoi alunni per "farsi" la classe e mantenere il suo posto di lavoro. O forse un insegnante rumeno non ha gli stessi diritti?
Non che i rischi di impoverimento in Trentino non ci siano, sia chiaro. Non che un pensionato faccia salti, o che una famiglia che vive su un solo reddito possa stare tranquilla. Ed è per questo che abbiamo deciso di proporre un percorso di conoscenza al quale far seguire in sede di finanziaria adeguate misure di sostegno al reddito. Al tempo stesso dobbiamo uscire dalla demagogia e dirci che complessivamente viviamo oltre le possibilità. Che c’è un senso della sobrietà e dell’importanza delle cose vere da riprendere in mano affinché diventi motivo di cittadinanza consapevole e responsabile. Che c’è un tessuto sociale (che pure ha reso il Trentino diverso) da rimotivare. Una classe dirigente da formare e una narrazione da ricostruire.
Fra questi pensieri scorrono le ultime battute del Consiglio provinciale. La proposta di legge della Lega viene bocciata. La nostra mozione sulle povertà approvata. Ma nell’uscire dall’aula alle otto di sera non ho una sensazione positiva. Piuttosto quella degli assediati.