
martedì, 12 giugno 2012
8 Aprile 2010
domenica, 17 giugno 2012
9 Aprile 2010venerdì, 9 aprile 2010
Giornata di incontri. Inizio al mattino con gli amici di Slow Food, in ballo l’organizzazione della prima edizione di "Terra Madre Trentino", immaginata a ridosso (26 – 31 ottobre 2010) alla nuova edizione di Terra Madre, l’incontro mondiale delle comunità del cibo che si svolgerà la settimana precedente a Torino. L’idea sarebbe quella di portare in Trentino i rappresentanti delle comunità del cibo che partecipano alla kermesse mondiale delle esperienze e dei territori con cui il Trentino ha avviato negli anni una relazione di cooperazione e di farne un evento per avvicinare al concetto di "Buono, Pulito e Giusto" la nostra gente, dai produttori ai consumatori.
Con Slow Food c’è da parte mia un rapporto che dura da tempo, attraverso il coinvolgimento nei progetti di cooperazione di comunità e più recentemente nell’elaborazione della legge sulle filiere corte. M’impegno a fargli avere nel giro di qualche giorno un quadro di relazioni da rappresentare sul territorio e qualche idea per la manifestazione, immaginandola come parte integrante del progetto di "cittadinanza euromediterranea" che andrò a proporre lunedì prossimo all’assemblea del Forum.
A seguire, l’incontro di "Viaggiare i Balcani". Progetto che prosegue da ormai otto anni e che quest’anno si trova a dover fare i conti con il venir meno del finanziamento sulla cooperazione internazionale della PAT. Che la promozione dell’unico sito esistente in Europa sul turismo responsabile nella regione, realizzato in tre lingue (http://www.viaggiareibalcani.net/), non sia stato preso in considerazione per un peraltro minimo finanziamento, più ci penso e più mi fa incazzare. Ma tant’è. Che le istituzioni trentine non abbiano in mente il carattere strategico della costruzione dell’Europa, preferendo a questo la destinazione di denari per l’aiuto umanitario quando lo sa ormai il mondo che gli aiuti creano prevalentemente dipendenza e corruzione, mi fa davvero cadere le braccia. Ma la politica richiede visibilità piuttosto che lungimiranza. E questa è, del resto, la ragione della sua crisi.
Ma intanto in difficoltà sono progetti come questo, che vivono sull’impegno professionale di persone che hanno sempre ammirato di questa nostra (anche delle istituzioni) diversa capacità di guardare al futuro. E’ comunque un mettersi alla prova, per verificare forme di autosostenibilità. Accanto a questo lavoro di informazione e di conoscenza dei luoghi, quello di promozione dei territori attraverso il turismo responsabile, i viaggi di vacanza intelligente o di studio. La programmazione dei viaggi sta conoscendo quest’anno uno sviluppo inedito, a testimonianza della crescente attenzione verso questa parte sconosciuta dell’Europa. Come si fa – del resto – a non conoscere città straordinarie come Sarajevo, non a caso definita la Gerusalemme dei Balcani?
Nel primo pomeriggio ci sarebbe la conferenza stampa con Tiziano Treu sui temi del lavoro, ma preferisco ritornare in ufficio e portarmi avanti con il lavoro, anche perché da li a poco ho in programma altri incontri. Prima con Corrado Bungaro e Laura Mezzanotte per ragionare sulla destinazione del "magazzino", un potenziale spazio multiuso nel cuore del quartiere di San Martino nel cuore storico di Trento, che stiamo immaginando come luogo si musica, ballo e formazione (anche politica, certo). E’ anche l’occasione per parlare sulle cose di questo mondo, di quel che sta accadendo in questo nostro paese, della disperazione e della solitudine della gente.
Nel secondo pomeriggio ho appuntamento al Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani con l’associazione Ingegneri Senza Frontiere. E’ l’occasione per conoscere il nuovo direttivo, completamente rinnovato, per presentare il Forum e le sue attività, per capire la possibilità di un loro coinvolgimento tanto nel percorso sulla cittadinanza euromediterranea quanto nell’impegno per il diritto all’acqua. E’ questa una bella associazione, fatta non solo di studenti ma anche di persone che ritengono di rivolgere la loro professione ad un diverso rapporto con l’ambiente sui temi dell’acqua, dell’energia, dell’abitare e tante altre cose ancora. Anche personalmente ho avuto con loro (e con Andrea Cemin che ne è stato il portavoce) un ottimo rapporto ed un’istintiva sintonia, in particolare sui temi della cooperazione internazionale. Sintonia che ritrovo anche in questi ragazzi che ora si sono presi in carico l’associazione.
Così finisce la giornata? Non proprio. Vado a casa e mi metto a scrivere fino a tardi, quando per la felicità di Nina (e mia) rientra anche Gabriella.
2 Comments
caro Michele,
che ne dici di riprendere la sollecitazione di Romano Prodi di dare avvi ad una struttura effettivamente federalista del PD? Io ho mandato un mio commento positivo al sito del “Messaggero”che ha pubblicato la proposta di Prodi che ti giro qui di seguito.
Vincenzo
ROMA (11 aprile) – I lettori mi perdoneranno se, di fronte all’ennesima discussione sulla riforma del Partito democratico, mi permetto di riprendere, con solo qualche aggiornamento, le proposte che, meno di un anno fa, ho fatto sulle colonne di questo stesso giornale. Il rumoroso dibattito post-elettorale sul ruolo dei partiti politici e sul loro rapporto con i cittadini mi riporta infatti indietro di qualche decennio quando, di fronte all’irreversibile crisi della Democrazia cristiana, proposi di costruire il partito su base strettamente regionale ma con un forte patto federativo nazionale. In poche parole si sarebbe dovuto dare vita al Partito popolare lombardo, emiliano, laziale o siciliano ma tutti questi partiti sarebbero stati obbligatoriamente federati alla Democrazia cristiana italiana. Non se ne fece nulla perché gli avvenimenti presero la mano prima ancora che il dibattito potesse essere nemmeno iniziato. E forse non sarebbe comunque iniziato.
Mi sembra oggi utile per il Partito democratico dare spazio a questo dibattito che si è finalmente riaperto. Il risultato delle elezioni è stato infatti inferiore alle attese e la comune interpretazione di questo risultato è che la struttura del partito stesso sia diventata fortemente autoreferenziale, con rapporti troppo deboli con il territorio e con i problemi quotidiani degli italiani, messi in secondo piano dai ristretti obiettivi dei dirigenti e delle correnti.
Per questo motivo sento che sia opportuno ritornare su quella vecchia idea. Gli iscritti al Partito democratico di ogni regione italiana dovrebbero cioè eleggere, naturalmente tramite le primarie, il proprio segretario regionale. L’esecutivo nazionale dovrebbe essere semplicemente formato dai venti segretari regionali, avendo il coraggio di cancellare gli organi nazionali che si sono dimostrati inefficaci. A questi venti “uomini forti” dovrebbe essere demandato il compito di eleggere il segretario nazionale, di decidere sulle grandi strategie politiche del partito e, naturalmente insieme agli organi regionali, le candidature per le rappresentanze parlamentari. La forza dei segretari regionali dovrebbe essere ponderata non in base agli iscritti ma in base ai voti riportati alle elezioni politiche, perché il raccolto di un partito non si basa sulle tessere ma sui voti.
Penso quindi a un esecutivo del partito formato esclusivamente dai segretari regionali, senza le infinite code di benemeriti e aventi diritto, compresi gli ex segretari del partito e gli ex presidenti del Consiglio. La politica del partito deve essere infatti esclusivamente decisa da coloro che, essendo scelti tramite elezione, rispondono direttamente alla base del partito.
È evidente che tutto questo corrisponde alla necessità di un serio federalismo nel quale Nord e Sud siano correttamente rappresentati e in cui si discuta in modo chiaro e definitivo la linea da seguire oggi in Parlamento e, domani, al governo.
Se si pensa in modo coerente ad un’Italia federale, questo federalismo deve infatti partire dai partiti che, nonostante la generale crisi in cui versano, sono anche oggi l’insostituibile fondamento di ogni sistema democratico.
Questa riflessione sul federalismo non vale naturalmente solo per il Partito democratico: ritengo infatti che nessuna grande decisione sul futuro del Paese possa essere presa senza che ad essa partecipino in modo determinante i rappresentanti di tutte le regioni italiane. Ritengo però che sia ancora più necessaria per il Partito democratico che, per completare le fusione delle radici storiche che lo compongono, ha più degli altri bisogno di rinnovare i modelli di reclutamento della sua classe dirigente e di costruire un luogo in cui le decisioni prese non possano più essere messe in discussione. Non si può infatti continuare con dibattiti senza fine nei quali si ritorna sempre al punto di partenza e ogni decisione viene sentita come provvisoria, per cui, ad esempio, dopo avere optato per il cancellierato si ritorna al presidenzialismo e dal presidenzialismo si finisce con la scelta di non cambiare nulla, senza che si capisca come e da chi tutto questo venga deciso. La trasparenza esige che ci sia una sede in cui si discuta in modo aperto e si decida la linea del partito senza che essa possa essere messa in discussione da interviste o dichiarazioni di leader o di notabili.
Certamente questo implica un cambiamento radicale della vita del partito e della formazione della sua classe dirigente e accentra sui venti segretari regionali poteri e responsabilità alle quali il Partito democratico non è familiare. Questo mi sembra tuttavia l’unica soluzione per fare funzionare un partito in modo trasparente ed efficiente in un momento in cui tutti dicono di volere il federalismo ma in cui nessuno lo vuole costruire in modo democratico e rispettoso delle esigenze di tutto il Paese.
Naturalmente tutto questo può funzionare solo se si impongono durissime regole di pulizia e di trasparenza nelle procedure di tesseramento. Tutto questo potrebbe sembrare una banalità ma, a oltre 60 anni dall’approvazione della Costituzione non si è ancora dato concreta realizzazione all’art. 49, che dice con estrema chiarezza che i cittadini hanno diritto di associarsi in partiti per concorrere “con metodo democratico” a determinare la politica nazionale. Cominci quindi il Partito democratico a volere l’attuazione di questo articolo, se non altro perché i suoi elettori sono più vigili di tutti gli altri quando si tratta di trasparenza e di democrazia. Questo non è un vizio ma una virtù.
Mi accorgo che queste osservazioni sono guidate dall’astrattezza di chi è ormai fuori dalla politica. Esse mi sembrano tuttavia utili per spingere all’approfondimento di un indispensabile dibattito.
aggiungo il commento che ho inviato al “Messaggero”.
Il commento di Merlo che liquida come attacco a Bersani la proposta di Romano Prodi di dare avvio al processo federalista all’interno del PD la dice lunga sul ritardo con cui gli stessi aderenti al PD affrontano il tema della “forma partito”. Ne sappiamo qualcosa anche qui in Trentino, dove non si è potuto sciogliere il nodo statutario in senso autenticamente federalista a causa del persistere di una concezione centralistica del partito, che ha portato il dibattito statutario locale su di un binario morto (federati o confederati con il partito nazionale?). La proposta di Prodi di porre al vertice i segretari regionali eletti con le primarie taglia la testa al toro, portando finalmente all’armonizzazione delle dinamiche di partito territorio per territorio.In Trentino siamo già pronti, e con una tale concezione del partito possiamo ragionevolmente pensare di conservare il ruolo di “partito guida” della coalizione di centrosinistra autonomista che, unico caso a nord del Po, governa il nostro territorio dall’inizio dell’era berlusconiana.
Vincenzo Calì