mercoledì, 29 luglio 2009
29 Luglio 2009mercoledì, 29 luglio 2009
29 Luglio 2009giovedì, 8 aprile 2010
Mercoledì avrei dovuto essere a Roma per il Seminario organizzato dalla Campagna Sbilanciamoci su "L’uso degli indicatori di qualità sociale ed ambientale nelle politiche pubbliche: le proposte della società civile". In realtà avevo voglia di andarci più per vedere un po’ di persone all’indomani del voto amministrativo e capire se qualcosa cominciava a smuoversi nel verso giusto, che non per lo specifico del seminario comunque interessante. Dico "il verso giusto", nel senso che più il tempo passa più mi convinco che occorra una proposta davvero fuori dagli schemi sin qui seguiti. Ne parlo da tempo, ma dopo l’esito delle elezioni per il rinnovo dei consigli regionali è ora di rompere gli indugi.
In altre parole questo significa riconoscere la sconfitta, che è prima culturale che politica. Che non dipende solo o tanto dalla qualità di un candidato presidente, ma dalla percezione che questo paese ha di sé, del suo presente e del suo futuro. Questo vuol dire predisporsi non alla rivincita nelle prossime elezioni, ma ad un percorso di ricostruzione culturale, che indaghi le categorie del pensiero, le parole, le forme dell’agire, voltando davvero pagina rispetto al Novecento. Guardarsi intorno, riconoscere le paure e prenderle per mano, cercare quel che di interessante i territori esprimono sul piano della sostenibilità e della qualità, intercettare saperi e modalità di auto-organizzazione sociale. Tutto questo richiede un tempo disteso, scandagliare università, imprese, territori, sperimentazioni sociali e politiche. E soprattutto non farsi prendere dalle scadenze.
Alla fine mercoledì a Roma non ci sono andato. Stanchezza o non so che altro, forse comincio ad imparare il senso del limite. Ho chiamato le persone con le quali avevo l’impegno di vedermi per darci un nuovo appuntamento, a metà maggio, quando andrò lì per un contributo proprio su questi temi nella giornata di chiusura della scuola di formazione politica dedicata a Danilo Dolci.
Non scendere nella capitale vuol dire tempo liberato per lo studio. A cominciare dai flussi migratori che hanno segnano lungo un secolo questo nostro Trentino che della sua storia di migrazione ha smarrito la memoria. Un solo dato. Dal 1874 al 1915 i dati ufficiali dicono che se ne sono andati dal trentino oltre 40 mila persone. Se pensiamo che l’emigrazione clandestina c’era già allora, praticamente un abitante su quattro è migrato da questa terra. Fenomeno che è proseguito, anche se con numeri inferiori, fino all’inizio degli anni ’70 quando, con il secondo statuto di autonomia, il Trentino ha iniziato a gestirsi le proprie risorse e a cambiare volto.
E’ di questo Trentino migrante che parliamo a Molina di Ledro. Un piccolo pubblico per una intensa e bella serata fatta di immagini (il film "Come un uomo sulla terra"), di analisi, di racconti, perfino di aneddoti. Ma la gente se ne sta chiusa in casa, incollata al televisore a guardare porcherie o talk show dove esponenti dei partiti di rovesciano addosso parole volgari.
Questa è una questione ineludibile. Trovare il modo di ricostruire un filo di dialogo con le tante persone che oggi vivono nell’incertezza del futuro, nella paura, nel rancore verso una politica avvertita (e molto spesso realmente) distante e verso coloro che ti insidiano in quel poco che pensi di avere. Ne parlo con Adel Jabbar, al quale chiedo di far parte del gruppo di lavoro che presiederà all’organizzazione delle attività del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani sul tema annuale del quale discuteremo nell’assemblea di lunedì prossimo: la cittadinanza euromediterranea. Gli racconto quel che intenderemmo fare: un contenitore di eventi, piccoli e grandi, dove i cittadini possano conoscersi in tutto quel che li accomuna ad altri cittadini, magari con la pelle più scura o più chiara, con i lineamenti della montagna o del deserto, dai caratteri più fieri o più inclini al quieto vivere. Suggestioni facili da comprendere e che possano dare il senso ad un concetto di cittadinanza aperta. Adel mi sembra attratto dal progetto e cominciamo a scambiarci idee e proposte, come ad esempio quella di far conoscere il pensiero nonviolento nell’Islam. Scopriamo così di avere conoscenza comuni, come ad esempio il vecchio Gabriel Mandel, uomo di grande religiosità e dalla cultura sterminata.
Fra crescere una cittadinanza euromediterranea. Riuscire solo in questo, vorrebbe dire dar senso al nostro impegno.
