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martedì, 6 aprile 2010

Dopo qualche giorno di riposo, riprende l’attività e dunque anche il diario di bordo.

Inizio questa giornata, finalmente piena di sole primaverile, visitando il Lomaso, nelle Giudicarie esteriori. Più precisamente, facendo il giro delle grandi stalle che punteggiano il territorio, al centro della crisi della filiera del latte e nello specifico del Caseificio di Fiavé.

Oggi l’aria è così nitida che quasi non si avverte l’odore acre dei liquami che vengono scaricati nei campi di granoturco, la monocoltura imperante nella zona. Eppure quello dell’odore è il primo problema che le persone avvertono, anche se probabilmente non si tratta del problema più grave. Il nodo vero sta infatti altri due aspetti (intrecciati fra loro) che subito tocchiamo con mano, la dimensione delle aziende ovvero un numero di capi troppo elevato per la quantità di territorio disponibile ed il rapporto con un territorio che potrebbe avere una molteplicità di vocazioni che nei fatti viene oggi compromessa dalla presenza invasiva delle stalle.

Il biotopo di Fiavé è un’area protetta, di grande bellezza e suggestione. Peccato che proprio sul confine dell’area faccia capolino una montagna di copertoni d’auto, usati a copertura del mais triturato in prossimità della stalla Carloni. Quest’ultima è un vecchio edificio fatiscente che per certi versi mi ricorda qualche tratto della Romania, intonaci degradati, il tetto in eternit. Mi chiedo come sia possibile che in Trentino ci siano queste cose. Dell’eternit (copertura a base di amianto) è vietata la produzione e la vendita in Italia dai primi anni ’90 e dunque quella copertura ha come minimo vent’anni. Avvicinandosi, t’accorgi che il materiale è oltremodo degradato e i rischi per l’ambiente gravi. Ma anche per il latte che lì si produce. Nella parte superiore di questo edificio decrepito vi abitano un paio di famiglie pachistane che lavorano nella stalla. Dietro la stalla, a poche centinaia di metri il "Dos", insediamento storico i cui abitanti si lamentano di quel degrado e di quei copertoni dove d’estate s’annidano le zanzare. Ci sono state molte denunce, ma senza alcun esito.

Visitiamo altre stalle nella zona di Dasindo. Quella dei Carli, a ridosso di uno splendido borgo medievale, appare degradata come quella precedente. Anche qui eternit ovunque. Perfino sul tetto del magazzino del consorzio elettrico Ceis, da poco sistemato. Rimango letteralmente allibito. Siamo lungo la strada principale di collegamento, prossimità del Copat, il consorzio dei produttori agricoli della valle dove è stato da poco aperto un bel negozio di prodotti naturali e biologici. A due passi dalla stalla Rinascita con un potenziale di oltre mille tori da ingrasso. Perché in alcune di queste stalle non ci sono più mucche da latte, ma solo capi da carne. Richiedono ancor meno cura e di conseguenza manodopera. Poco stallatico e molti liquami, nemmeno buoni per concimare la terra. E poi la terra bisognerebbe averla se non in prossimità almeno nella zona, ma la legge nazionale prevede che questa possa essere anche fuori regione. E qui bisognerà intervenire.

Da Dasindo andiamo verso la Valle Lomasona. E’ la prima volta che visito questa splendida valle che all’estremità ti porta praticamente sopra il lago di Garda. Una zona intonsa, ricca di ruscelli d’acqua e di fauna selvatica. Per diversi chilometri non ci sono case, solo la stradina che ti porta alla scuola di roccia e alla Malga che prende il nome della valle. Un edificio antico, al quale negli anni ’80 sono stati aggiunti dei manufatti di pessimo gusto con delle prese d’aria altrettanto brutte. E anche qui, come segno di uno sviluppo ben poco sostenibile, le coperture dei manufatti più recenti in eternit. La struttura, privata, è in stato di abbandono. Tutto intorno, bellissimi prati inzuppati d’acqua e i segni di un impianto d’irrigazione mai entrato in funzione per una coltivazione intensiva di ortaggi, altra idea insana e per fortuna ben presto lasciata cadere.

E’ mezzogiorno passato quando completiamo il sopraluogo in prossimità di una nuova stalla in località Comighello, dove è previsto l’allevamento di settecento vitelli da latte e anche in questo caso senza nemmeno un metro quadrato per lo smaltimento dei reflui. Mattinata utile, con molti stimoli e l’urgenza di alcuni interventi.

Nel primo pomeriggio un salto in ufficio, la posta elettronica e quella normale, e poi ho appuntamento con Marino Cofler. Non vedo Marino da mesi, per lui molto travagliati. Prima problemi di cuore, poi una grave caduta in montagna di cui porta ancora i segni sul corpo. Ma piano piano è riuscito a venirne fuori ed ora lo vedo caricato. Marino è insegnante all’ITI Buonarroti ed è stato un forte oppositore ai provvedimenti relativi all’organizzazione dello studio nel secondo ciclo proposto dall’assessore Marta Dalmaso. Insegna chimica e l’attività di laboratorio è per i ragazzi che arrivano nella sua scuola – a suo avviso – la materia di maggior contatto didattico. Perché tagliarle, dunque? 

Sembra quasi che l’estensione dell’obbligo a sedici anni nemmeno sia stata presa in considerazione. E che ci debba essere continuità di formazione fra elementari, medie e superiori, nessuno si pone neanche il problema. "Arrivano così, cosa dobbiamo fare?" Ma come non capire che la questione ha come sfondo proprio questo scenario, che la riforma dell’obbligo impone una nuova organizzazione dello studio, a cominciare appunto dal biennio comune, ovvero più formazione generale e meno indirizzo specifico. Come non capire che anche la professione di insegnante richiede aggiornamento, motivazione, responsabilità. Marino è persona preparata e coscienziosa. Ma negli istituti superiori immaginare che vi sia continuità didattica rispetto agli istituti comprensivi e capacità di accompagnare livelli diversi di apprendimento, nemmeno viene preso in considerazione. Ci sono i programmi ministeriali, punto e basta. Alla faccia della Legge Salvaterra e dell’autonomia scolastica.

E infatti il nodo è soprattutto qui. Di una riforma lasciata a metà, avversata come ho più volte scritto in questo diario, tanto nel Palazzo quanto nelle scuole, da una burocrazia che non intende mollare il proprio potere come dagli insegnanti che si guardano bene dal prendersi in carico nuove responsabilità. Che ci siano stati problemi di comunicazione e contraddizioni nelle stesse scelte dell’assessorato, non ci piove. Ma non possiamo eludere il problema. Per questo la partita è tutt’altro che chiusa.

Inizio a leggere "Pensiero politico e scienza della mente" di George Lakoff. Le prime pagine mi incoraggiano, indicano la necessità di uscire dall’illuminismo per scandagliare l’inconscio cognitivo. Buona lettura.

 

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