mercoledì, 17 marzo 2010
25 Luglio 2009lunedì, 27 luglio 2009
27 Luglio 2009mercoledì, 31 marzo 2010
L’eco delle elezioni è ancora forte. La destra gongola, la Lega si sente definitivamente sdoganata e può fare la voce grossa, Berlusconi grida ai quattro venti "ora le riforme, chi ci sta, ci sta…" e medita qualche nuovo editto, i neopresidenti lanciamo la sfida alla pillola RU… il Papa fino a quel punto in grave difficoltà ringrazia per l’assist. In compenso il centro sinistra continua a vagare nel buio. Qualcuno, anche nel PD del Trentino, pensa che la risposta sia quella di rincorrere la Lega, nei contenuti come nelle pratiche. Ricevo la mail di un amico di Roma che propone di invitare "tutto l’arco variegato delle Opposizioni, da Beppe Grillo & C., al Popolo Viola, dai Radicali all’ Italia dei Valori, da Rifondazione e la Federazione delle Sinistre a Sinistra Ecologia e Libertà, più singoli battitori liberi ed esponenti della cultura e della comunicazione" a mettersi insieme e avverto quanto sia profondo il disorientamento. O, almeno, esattamente l’opposto di quel che penso. Perché sono sempre più convinto che sia tempo di cambiare lo schema di gioco. Ne ho già parlato più volte in questo sito: non serve a nulla mettere insieme le vecchie storie, non ha funzionato, non funziona e non mi interessa. Cambiare lo schema significa sintonizzarsi con quel che di interessante emerge nei territori, quelli che la politica sorvola. Anche per questo sento Gianfranco Bettin. In primo luogo per complimentarmi con la sua città, Venezia. Mi racconta di quanto sia stata dura ma anche qualche aneddoto, come quando in piena campagna elettorale è arrivato in laguna Massimo D’Alema e di come il candidato e ora sindaco di Venezia Giorgio Orsoni l’abbia tenuto a distanza per evitare l’effetto pugliese. Ci scambiamo qualche considerazione e avverto come il tempo per una scelta in mare aperto, cambiando lo schema di gioco, stia maturando anche nel suo itinerario politico.
Verso le 11.00 ho appuntamento con Gianni Rigoni Stern. E’ appena rientrato da Srebrenica e ha un sacco di cose da raccontarmi e farmi vedere. Vuole tirarmi dentro il suo piccolo sogni di dare una mano ad un villaggio della zona attraverso un progetto di sviluppo rurale. Ovviamente mi fa piacere essermi conquistato la sua fiducia di uomo burbero dell’altipiano. Provo ad immaginare una triangolazione fra il Trentino, il Veneto e la città bosniaca, mettendo in campo saperi, relazioni e la suggestione di utilizzare i diritti d’autore dei racconti di guerra di suo padre per un progetto di rinascita economica, sociale e culturale dell’antica "Argentea", Srebrenica appunto.
Nel pomeriggio mi attende un incontro che ho fortemente voluto. Riguarda Millevoci. Il Centro Millevoci nasce nel novembre 1998 grazie ad un protocollo d’intesa fra la PAT, il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani, l’Iprase e il Comune di Trento, successivamente allargato anche all’Università degli Studi di Trento. Fu la scommessa di far interagire soggetti diversi del mondo della scuola attorno ai temi dell’accoglienza e dell’interculturalità per cercare di dare risposte alte a delle domande che con il trascorrere degli anni diverranno sempre più ineludibili. Un tavolo comune di confronto con l’obiettivo di definire azioni congiunte per migliorare l’integrazione degli alunni stranieri nella scuola trentina.
Sono passati più di dieci anni. Difficile dire se quella scommessa è stata vinta oppure no. Molte cose sono state fatte e probabilmente se il Trentino è stato in questi anni terra accogliente lo si deve anche a questo lavoro. Ma molto c’è ancora da fare, molto da cambiare. Sì, perché in questo tempo è mutato il quadro, la dimensione e la qualità dei bisogni, il tipo di utenza. A cominciare dal fatto che gli alunni stranieri di un tempo sono diventati padri e madri, e i loro figli non sono "stranieri", ma ragazzi nati in Trentino, trentini a tutti gli effetti.
E’ proprio per interrogarsi sulle nuove frontiere dell’interculturalità che il Forum e l’Assessorato all’Istruzione hanno promosso nel pomeriggio di oggi, presso il palazzo dell’istruzione a Trento, un incontro di lavoro con le persone e i soggetti che hanno lavorato ed interagito nel corso degli anni con il Centro Millevoci. L’obiettivo è provare a mettere a prova le categorie concettuali e le parole, le une faticano a descrivere, le altre non riescono a comunicare. Pace, diritti umani, solidarietà non vogliono dire più nulla. E lo stesso si può dire per formule come interculturalità, come se le culture, incontrandosi, non producessero conflitti. E’ a questi conflitti, è a queste paure spesso sopite, a volte gridate, che dovremmo parlare. Riconoscendole, tanto per cominciare, senza necessariamente bollarle come xenofobia o razzismo. Le paure sono reali, sono il prodotto di trasformazioni tanto rapide quanto radicali che mettono in discussione quel che prima era consolidato. Un altro obiettivo è quello di interrogarsi sui cambiamenti avvenuti. Siamo giù oltre l’accoglienza e l’aiuto: oggi si pone il tema del riconoscere i diritti di cittadinanza, la dignità di essere parte di una storia, insieme diversa e comune. Che in primo luogo dovremmo conoscere. E’ un problema degli insegnanti, dei genitori, dei ragazzi. Dovremmo dunque investire nella conoscenza, conoscenza delle storie, delle geografie, delle letterature, delle arti, non per saperne di più degli altri ma per conoscere meglio noi stessi, nel nostro saperci riconoscere come cittadini europei e mediterranei.
Di questo parliamo. Molti i partecipanti, molti gli stimoli. E infine l’impegno di aprire una fase di confronto sui siti del Forum e Vivo scuola, per arrivare da qui a sei mesi ad un momento pubblico di bilancio e soprattutto di rilancio di Millevoci come interfaccia fra tutte le componenti che operano nella scuola, questa volta non per accogliere ma per ritrovarsi.
