mercoledì, 24 febbraio 2010
24 Febbraio 2010venerdì, 26 febbraio 2010
26 Febbraio 2010giovedì, 25 febbraio 2010
Terza giornata di Consiglio provinciale. Da raccontare per descrivere il dibattito attorno a due disegni di legge, quello di Roberto Bombarda sul clima e quello unificato sulla violenza di genere contro le donne.
Che cosa può fare un piccolo territorio rispetto alle scelte dei grandi della terra sulle emissioni di CO2 e il surriscaldamento terrestre? La risposta è semplice: interrogarsi sulla propria impronta ecologica. Assumersi la responsabilità di fare la propria parte nel ridurla tale impronta, cosa che riguarda ogni persona, ogni nucleo famigliare, ogni comunità, ogni città, ogni provincia e così via. E che investe pertanto le scelte individuali e collettive, l’eticità dei nostri comportamenti e le scelte politiche che siamo chiamati ad assumere. Riguarda i modelli di sviluppo e di consumo a partire dal fatto che nel nostro paese l’impronta ecologica è doppia rispetto a quella che potremmo permetterci e dunque dovremmo muoverci nella direzione di riconsiderare i concetti di crescita dei consumi e dunque i nostri stili di vita.
Ci vuole qualcosa di più di una legge per fare questo, occorre uno scarto culturale in primo luogo ed un’attenzione continua in ognuna delle leggi o degli atti amministrativi che emaniamo. Ma anche un provvedimento legislativo che implementi il monitoraggio permanente della nostra impronta ecologica può servire. Ed è in buona sostanza quel che si mette in campo con questa legge, quand’anche largamente ridimensionata rispetto al manifesto per il clima che si proponeva nella versione originaria. Ma va bene così, anche perché va ben oltre – nei suoi auspici – rispetto all’atteggiamento comune ed anche a quel che emerge nel dibattito dell’aula, di fronte ad interventi come quello di Morandini che arrivano a negare che i cambiamenti climatici siano da connettere all’azione dell’uomo. Come a dire "la terra è piatta"…
La cosa che più mi preoccupa è la diffusa ipocrisia che emerge anche in questa discussione, da un lato la consapevolezza che qualcosa bisogna fare, dall’altro il dogma dello sviluppo. "Il mio stile di vita non è negoziabile" si dice e questo prelude alla fine dell’umanesimo. Quando il leader laburista Tony Blair lo teorizzò non suscitò alcun scandalo, anche se in quel momento si rivelò il punto più alto di omologazione politica fra conservazione e progressismo. Sulla proposta di legge c’è un voto largo, ma questo non deve affatto illuderci.
Inizia poi i confronto in aula sulla proposta di legge frutto dell’unificazione di due testi sul tema della violenza contro le donne, quello proposto dal consigliere Chiocchetti e quello del nostro gruppo, prime firmatarie le consigliere Cogo e Ferrari. La gestazione di questo provvedimento è stata lunga, complessa e controversa. Non sono bastati un anno di dibattito e il confronto con un ampio schieramento di soggetti sociali. Più forte di ogni consenso è stato l’impatto con l’accesa opposizione del Coordinamento Donne e del Centro antiviolenza. Il nodo del contendere? Il carattere esclusivo dei centri antiviolenza nell’intervento a difesa delle donne vittime di violenza. La proposta di legge che arriva in aula prevede su questo punto che sia l’ente pubblico, la PAT, a prendersi in capo la questione sia in forma diretta sia avvalendosi del privato sociale, assegnando un ruolo di primo piano ai centri antiviolenza presenti sul territorio ma non esclusivo.
La legge fornisce risposte a tutte le domande e le raccomandazioni che vengono dalle più svariate sedi che istituzionalmente si sono poste di affrontare un dramma sociale molto più diffuso di quel che si creda, anche perché la maggior parte delle violenze contro le donne avviene fra le mura domestiche, nel silenzio dei rapporti famigliari. Ma questo non basta ad evitare una pur contenuta contestazione, frutto a mio parere di un cortocircuito ideologico e niente affatto estranea al tratto "antipolitico" che segna il nostro tempo. Tanto che nel rumoreggiare del pubblico che assiste ai lavori dell’aula si colgono segni di consenso verso i banchi della Lega o del PDL, i quali di violenza di genere non vogliono nemmeno sentir parlare.
Ore 19.45, la legge viene approvata e la seduta è tolta. Ma la giornata non è finita. A Mezzocorona c’è l’assemblea dei partecipanti alle primarie del PD anche in vista delle ormai prossime elezioni comunali alla quale sono stato invitato. Su circa 150 persone che alle ultime primarie avevano espresso il loro voto, se ne presentano una quindicina. Poche forse, ma un gruppo che può costituire il nucleo iniziale del circolo del partito. Mezzocorona è un paese difficile, la parola "mafia" non viene mai fuori nella discussione ma è come aleggiasse fra i presenti che descrivono un clima pesante, di prevaricazione e di paura. La parola più usata invece è "melassa", che ben descrive la situazione che si è creata nell’amministrazione locale grazie alla presenza di liste civiche che rappresentano i poteri forti che si esprimono nella comunità. Melassa trasversale agli schieramenti provinciali, forse prototipo di quel grande centro che qualcuno ha in mente e che assomiglia molto alla vecchia balena bianca. La presentazione della lista del PD del Trentino sarà un sasso in questo stagno.