mercoledì, 17 febbraio 2010
17 Febbraio 2010venerdì, 19 febbraio 2010
19 Febbraio 2010giovedì, 18 febbraio 2010
Giornata difficile, dura, ma al tempo stesso istruttiva. Due gli eventi che più di altri possono essere interessanti, la riunione della terza commissione sulla petizione popolare contro la realizzazione a Cadino (Faedo) dell’impianto di biodigestione dell’umido e l’incontro serale a Pergine sulla scuola.
Partiamo da Cadino. Si presentano una dozzina di persone in rappresentanza del Comitato civico che si oppone al biodigestore e i rappresentanti del Comune di Salorno. Il loro argomentare è ormai una litania conosciuta che dice in buona sostanza "qui non si deve fare". Giocare sulla paura (l’odore, le polveri, l’inquinamento) e non dire nulla sulla necessità di farsi carico del problema se non spostandolo altrove è insieme fuorviante e irresponsabile. Perché la tecnologia anaerobica ha raggiunto livelli di sicurezza elevatissimi e perché oggi il nostro comportamento – portando fuori provincia a costi elevatissimi l’80% dell’umido prodotto – è irresponsabile. Il problema è che a fronte di atteggiamenti di questo tipo la politica non sa fare altro che rincorrere la ricerca di consenso. Lo abbiamo visto a Lasino, lo vediamo oggi a Cadino. La Lega salta su ogni mugugno, il centro sinistra non sempre ha il coraggio di dire che una politica responsabile è quella che è capace di farsi carico dei problemi. Può essere che ci si sia trovati di fronte a localizzazioni discutibili o ad impianti vetusti (come a Levico), ma se non va bene Cadino dove le prime abitazioni (trenta persone in tutto) distano quasi un chilometro dall’impianto progettato, vorrei capire quale altro sito in Trentino può considerarsi adeguato. A meno che non si pensi di realizzare un impianto in mezzo ai boschi. Il sindaco di Salorno dice di non essere mai stato consultato come se i centri limitrofi a quello dove si vuole realizzare un impianto avessero una sorta di diritto di veto. Anche in questo la somiglianza alla vicenda di Lasino è molto forte: vi immaginate che per una localizzazione di questo genere si debba non solo trovare il sito e convincere una comunità a farsene carico, ma avere anche il consenso dei Comuni vicini? Vorrebbe dire – in buona sostanza – non farne nulla, in altre parole lasciare le cose come sono.
Il fatto grave è che questa è ormai la cifra del tempo. Cattiva politica e antipolitica, non sanno far altro che rincorrersi alla ricerca di un facile consenso.
Provi a non rincorrere questo cliché sulla scuola, e ti ritrovi addosso gli insulti. Ad usare la politica, l’autonomia come grimaldello per evitare che in Trentino avvenga quel che accade in Italia con le scelte del governo che sui tagli all’istruzione fa cassa, anche qui fra spinte contraddittorie e assetti di potere consolidati, nessuno ti capisce e la cosa viene vissuta come cedimento. Provi a rovesciare il carattere concorrente delle competenze incardinando sull’autonomia scolastica alcuni possibili cambiamenti, e ti scontri con ideologismi e conservatorismi.
A Canale di Pergine il Circolo locale del PD promuove un incontro con l’assessore Dalmaso, il consigliere Zeni e il sottoscritto e quel che ne esce è un contraddittorio fra gli autoproclamati "stati generali della scuola" e l’assessora. Non c’è ascolto, c’è la messa sotto accusa. Non serve nemmeno riconoscere che qualcosa non ha funzionato, perché lo schema non lo ammette. Qui non si fanno prigionieri. Non serve nemmeno indicare scenari diversi nei quali provare a leggere la vicenda non della riforma ma dell’emanazione del provvedimento relativo all’ordinamento scolastico del secondo ciclo, perché ho la sensazione che proprio non venga compreso, assorti come si è in una narrazione tanto semplificata da divenire manichea. "Qui siamo in Italia, altro che autonomia…". E’ davvero paradossale che le parti si siano così invertite, le proposte di cambiamento vengono dal governo provinciale e la conservazione di quel che c’è (e che non funziona, perché agli istituti e alle scuole professionali non ci vanno certo i figli dei ricchi) venga dalla protesta. Persino la proposta di un biennio comune dell’istruzione superiore viene avversata, dai più (le corporazioni) come egualitaria (parola inammissibile), da qualcuno come strumentale per nascondere la vera natura del provvedimento.
Marta Dalmaso mette in gioco tutta se stessa, devo dire che questa sera mi sembra più convincente di altre volte, rassicura sui tagli che in realtà sono investimenti crescenti, sul personale, persino sul biennio (forse sbagliando), ma non serve a nulla. Io me ne sto zitto fin dopo le 23.30, quando provo ad introdurre una diversa narrazione che parte dall’avversato accordo Pat – Miur con l’allora ministro Moratti (stava lì la vera intuizione) ma non c’è verso. "Fate qualcosa di sinistra" dice qualcuno. "Basta con i soldi alle private" dice qualcun altro, come se in questi anni fossero venuti meno in Trentino i finanziamenti alle scuole pubbliche… Un’antica discussione, che nel tempo si ripropone in forme parossistiche, senza capire che fra il pubblico e il privato c’è tutto il concetto di comunità e che l’unica maniera di ricondurre una parte del privato, quello confessionale, ad un sistema formativo provinciale non discriminatorio è proprio quella di usare lo strumento del finanziamento pubblico.
Pubblico – privato, laici – cattolici… è lo schema sempre buono per non capire nulla di questa terra. Una sinistra che non a caso è sempre stata marginale, incapace di uscire dallo schema della disastrosa vulgata novecentesca. E che si autoassolve con l’altro schemino sempre pronto, quello del tradimento.
E’ un "deja vu" insopportabile. Quando arrivo a casa sono proprio stanco.