Passo del Redebus
lunedì, 27 maggio 2013
8 Febbraio 2010
mercoledì, 10 febbraio 2010
10 Febbraio 2010
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martedì, 9 febbraio 2010

Giovedì e venerdì i primi sintomi, sabato sera e domenica febbre alta, lunedì e martedì a letto nel cercare di dargli la volta con aspirina, tisane e inalazioni. Tutti gli impegni (prima commissione regionale, terza commissione provinciale, consiglio regionale e appuntamenti vari) cancellati senza che caschi il mondo, a testimoniare tante cose, in primo luogo che il delirio quotidiano nel quale siamo immersi è una nostra costruzione mentale e che alimentiamo per tenerci vivi.

Anche per questa ragione, passata la febbre, agli appunti sulle cose da fare preferisco un libro. Dal mucchio di quelli ai quali assegno una qualche priorità tiro fuori "La pulizia etnica della Palestina" di Ilan Pappe (Fazi editore). E’ la cronaca ragionata della Nekba (la catastrofe del 1948), la cacciata dei palestinesi dalle terre che avevano abitato e coltivato da sempre, ma con un accento insolito: a parlare è uno scrittore israeliano, nato ad Haifa nel 1954, figlio di coloni olandesi sfuggiti alla persecuzione nazista. Un titolo forte, diciamo pure "politicamente scorretto", ma straordinariamente documentato e doloroso, per chi lo scrive innanzitutto.

«…Ora si chiama Yoqneam; qui avevano comperato terreni alcuni ebrei olandesi nel 1935 prima di "incorporare" nel loro insediamento nel 1948 i due villaggi palestinesi evacuati. Anche il vicino kibbutz di Hazorea si è preso della terra. Yoqneam è un luogo gradevole perché vi scorre uno degli ultimi fiumi di acqua pulita nella zona di Marj Ibn Amir. In primavera l’acqua sgorga abbondante attraverso un bel canyon giù per la valle, come una volta quando arrivava alle case di pietra del villaggio. Gli abitanti di Qira lo chiamavano fiume Muqata; gli israeliani lo chiamano "fiume della pace". Come tanti altri paesaggi in questa zona di attrazione ricreativa e turistica, anche questo luogo nasconde le rovine di un villaggio del 1948. Con mia grande vergogna, mi ci sono voluti anni prima di scoprirlo».

Un professore universitario, uno scrittore, un attivista per i diritti umani. Che non teme di descrivere la nascita del proprio paese come il prodotto di un crimine contro l’umanità, perché così è riconosciuta dal diritto internazionale la "pulizia etnica". Insomma, un traditore.

Una narrazione, certamente. Ma che rovescia le parti perché viene dalla coraggiosa (e costosa) ricostruzione di come sono andate le cose negli anni che portarono alla nascita dello Stato di Israele, da una persona che cerca la verità senza spogliarsi della propria appartenenza. Nella documentazione, un’infinità di nomi di villaggi palestinesi, ogni tanto mi soffermo su qualcuno di questi, associandolo con le immagini ancora vive dei luoghi dei miei recenti viaggi. Di uno in particolare, Lifta.

«Fino a cinque anni fa, quando una nuova strada collegò la Gerusalemme – Tel Aviv ai quartieri settentrionali ebraici di Gerusalemme – costruita illegalmente su territorio occupato dopo il 1967 – entrando in città si vedeva a sinistra, abbarbicate sulla montagna, una serie di belle case  antiche, ancora intatte. Ora non ci sono più, ma per tanti anni sono stati i resti del pittoresco villaggio di Lifta, uno dei primi sottoposti a pulizia etnica in Palestina … un bell’esempio di architettura rurale , con strade strette che correvano parallele ai pendii delle montagne …».

Lifta è il villaggio della famiglia del mio amico Ali, come non vedere l’angoscia nei suoi occhi quando mi indicava i luoghi delle sue radici.

E’ andata così. E in tanti altri modi, a partire dal dolore di ciascuno. Riconoscere ed elaborare il conflitto, le vicende della storia, anzi delle storie, non per cacciare qualcuno da qualche luogo (oggi quella è la terra di tutti quelli che la abitano), ma semplicemente perché la pace (e la riconciliazione che ne è il presupposto) richiedono un’elaborazione che vada oltre la storiografia ufficiale dei vincitori. Se così non sarà, rimarrà (e rimane) il rancore. Il tempo non farà altro che ingigantire (per quanto possibile) l’incomunicabilità.

Mentre leggo il testo di Ilan Pappe, penso alla fatica nell’organizzare l’evento che abbiamo in animo di promuovere a fine marzo con la Provincia di Trento che abbiamo intitolato "Officina Medio Oriente", nella promozione del quale si è scelto di coinvolgere anche le associazioni di amicizia fra Italia e Israele. Non so se ne uscirà qualcosa di utile, sempre che ci riusciamo di mandarla in porto. Ma sarà certamente un’officina di educazione alla pace per ognuno di noi.

Immerso in questi pensieri, mi giunge la telefonata di Luca che mi dà una triste notizia, se ne è andata Cristina Boglia. Lavorava ad Eurac, l’Accademia di Bolzano. Impegnata da tempo in progetti europei, Cristina era stata nel 2000 e per un anno intero l’interfaccia sudtirolese nella costruzione dell’Osservatorio sui Balcani. Poi era rientrata in Accademia dove ancora era impegnata professionalmente, ma se quell’impresa è diventata il più importante centro (italiano ed europeo) di informazione e ricerca sull’Europa orientale è anche un po’ merito suo. Un tumore se l’è portata via a quarantacinque anni, lasciando Maurizio e le piccole Teresa e Margherita. Che tristezza.

 

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