martedì, 28 luglio 2009
28 Luglio 2009martedì, 28 luglio 2009
28 Luglio 2009giovedì, 21 gennaio 2010
Mi ha fatto piacere ricevere l’invito dalla Scuola di formazione politica "Danilo Dolci" di Roma per svolgervi una lezione. Avevo incontrato Silvano Falocco qualche mese fa alla Fortezza da basso nel cuore di Firenze dopo vent’anni, riconoscendo prima la sua voce dietro di me per poi associarla ad un volto, a dispetto degli anni poi non tanto cambiato. Raccontarsi in qualche pillola un pezzo così significativo di vita non è affatto facile, ma è quel che basta per intuire che qualcosa da raccontarsi avrebbe potuto esserci. Ero a Firenze per presentare "Darsi il tempo", avevo con me una copia e gliela ho regalata. Evidentemente la lettura deve averlo stimolato visto che dopo qualche settimana mi ha chiamato per invitarmi a tenere una lezione. Probabilmente pensava al tema della cooperazione, ma alla richiesta di un titolo per il nostro incontro quasi scherzosamente gli ho suggerito "Il criminale che è in ciascuno di noi". Detto, fatto.
E così oggi sono qui, nel quartiere Ostiense, alla libreria "Le storie". Zeppa di gente, forse incuriosita da un argomento così improbabile. Eppure avrei potuto immaginare, per come ricordavo Silvano, che mi avrebbe potuto prendere sul serio. Ma ormai è fatta e sono qui a parlare di una cosa maledettamente seria, senza voler prendersi troppo sul serio. Mentre aspettiamo l’orario di inizio, Silvano mi racconta della scuola, di uno spazio che le persone si sono date "perché non si discute più da nessuna parte". Di un luogo che non vuole essere "della politica", che un po’ teme la politica per il suo scadere in un fare privo di pensiero, ma intimamente politico.
Fra i presenti anche qualche volto conosciuto come Enrico Fontana, ma per tutti loro è come aver preso a scatola chiusa, non avendo proprio idea di dove intendo spingermi. Silvano mi aveva scritto che avrei dovuto parlare per mezz’ora o poco più… e che poi sarebbe seguito il dibattito. Mentre scorrono le parole vedo le persone attente, per certi versi stupite della piega che cerco di proporre. Guardo il mio moderatore, non vedo segni d’impazienza: 30, 50, 70, 90 minuti, nessuna interruzione ma nemmeno un bicchier d’acqua. Son tutti lì, è un buon segno. All’applauso che accompagna la fine del mio intervento segue un fuoco di fila di domande, vere, difficili, impegnative. Alcune riguardano come riuscire a fare corrispondere il profilo del pensiero con quello dei luoghi della politica, di qui forse lo stupore. Me la cavo con la metafora che ha accompagnato il mio argomentare: la scelta di abitare il conflitto, la bellezza ed il dolore del "compromettersi". La concreta possibilità di aprire pertugi che diventano porte e anche di più. Il bisogno di proporre sguardi, di ascoltare, di meravigliarsi senza cadere nell’ingenuità. Che pure, in tanto cinismo, ci può anche stare.
Quei pochi libri che mi sono portato non bastano ed in molti mi chiedono di trovare il modo per proseguire la conversazione, di tornare sulle suggestioni proposte. Uno dei presenti mi ringrazia per una cosa piuttosto singolare, quella di aver dato un buon motivo alla sua iscrizione al PD, della quale non era poi tanto convinto. Ma, ad essere sinceri, non è che sia stato molto tenero verso questo partito, che pure mi riguarda. Nell’ascoltare i commenti dei partecipanti, mi viene da riflettere su quanto forte sia la domanda di buona politica, o forse più semplicemente di politica senza aggettivi. Nel senso di strumenti per leggere quel che ogni giorno vediamo nella nostra profonda solitudine.
Un bicchiere di vino e via, a prendere il treno per Orvieto, dove Ali mi aspetta per cena. Mentre scrivo sono in treno, non arriverò a destinazione prima delle 23.00. Ma il piacere di passare una serata come ai vecchi tempi val bene questa ultima fatica.
