giovedì, 7 gennaio 2010
Sono molte le immagini che porto a casa da questo breve viaggio in Palestina. Alcune sono state raccontate in questo "diario" che oggi si conclude. Altre rimangono dentro. Non so se sono riuscito a trasmettere con le parole quello che ho provato a Gerusalemme, Aboud, Beit Jalla, Ramallah, Cana, Nazareth… nel raccontare non tanto della miseria e delle ferite profonde, ma delle cose belle dalle quali è possibile ripartire.
Non sono andato in Palestina con l’intento di portare solidarietà o aiuti. Nella striscia di Gaza, dove non siamo riusciti ad entrare, l’emergenza richiede interventi urgenti e la Provincia autonoma di Trento si sta movendo proprio in questa direzione. Sono tornato qui, dopo esserci venuto poche settimane fa portandomi via l’angoscia del filo spinato e dei muri, per cercare di capire un po’ di più, individuare interlocutori credibili, consolidare buone relazioni e costruirne di nuove.
Nel libro "Darsi il tempo" ho definito la relazione come la vera chiave per una cooperazione internazionale diversa, rispettosa e sostenibile. Negli incontri realizzati, tanto nel ministero dell’agricoltura come nella casa dell’amico Tareq, abbiamo raccolto sensazioni e domande, senza la pretesa di avere risposte che infatti sono tutte da costruire. Così facendo si sono aperte molte finestre, speriamo che facciano entrare aria buona.
Più che parlare di dialogo e di pace, ci siamo confrontati sulla terra e sui suoi prodotti, sull’acqua e sulle biodiversità. Abbiamo discusso delle radici comuni, della cultura e dei saperi, della storia e delle sue diverse narrazioni. Non di nuovi confini, quelli che ci sono già sono troppi ed insopportabili, né di nuovi Stati che quei confini (e quei muri) non fanno altro che legittimare.
E così facendo abbiamo posto la necessità di una diversa agenda della pace. Di cui parleremo a Trento, a fine marzo, in una tre giorni che proverà non a cercare torti e ragioni di un conflitto violento, sordo e senza fine, ma il bandolo di una matassa talmente intricata da richiedere di essere presa in mano con la delicatezza e la fantasia necessarie.