domenica, 23 luglio 2017
Sono passati vent’anni. Ricordo quel 9 novembre 1989 come se fosse ieri. Le prime notizie arrivarono nella notte che precedeva l’inizio del nostro congresso straordinario con il quale avremmo sciolto DP del Trentino e dato vita a Solidarietà. Era come se gli avvenimenti ci venissero in aiuto di fronte alle difficili e dolorose scelte maturate in quei mesi e che ora arrivavano a compimento. Fu come un fiume in piena. E noi, di quel fiume, ci sentivamo parte, eravamo parte. Nel manifesto congressuale parlammo di "anticapitalismo e libertà", utilizzammo la storica immagine di Fausto Coppi e Gino Bartali che si passano la borraccia dell’acqua nella fatica di una strada di montagna, rompemmo gli schemi aprendo il congresso non con una relazione bensì con una tavola rotonda in cui a dialogare con noi c’erano Vittorio Cristelli e Franca Berger, Giuseppe Mattei e Renato Ballardini, Alberto Robol e Fabrizio Rasera, storie diverse per un possibile rimescolamento delle carte. A confrontarsi con il nostro documento congressuale e con quel che accadeva a Berlino in quelle stesse ore. Ci avevamo lavorato per tutta l’estate, all’elaborazione di un documento politico congressuale nel quale avevamo misurato ogni parola seguirono quattordici incontri sul territorio, lunghe discussioni con chi non se la sentiva di rompere definitivamente i pur sottili legami che ancora resistevano con il partito a livello nazionale. Ed ora era come arrivare ad un appuntamento con la storia. In quella stessa domenica di novembre Achille Occhetto andò alla Bolognina a proporre quel che prima era impensabile, la fine del PCI. Tant’è vero che "la Repubblica" del 13 novembre, nel riportare a tutta pagina dell’affondo del segretario del PCI, riportò un riquadro che recitava "Trento, DP non esiste più. Ora si chiama Solidarietà".
Come potete capire per me la caduta del muro non è solo un avvenimento che ha cambiato la storia. E’ un passaggio della mia vita, della mia e nostra ricerca culturale e politica. Era come se in quelle ore in cui il simbolo violento del bipolarismo andava in frantumi noi fossimo lì, palpitassimo con le migliaia di persone che lo facevano a pezzi. Abitavamo il nostro tempo. Una piacevole sensazione che mi ha accompagnato nel trascorrere degli anni.
Anni difficili e dolorosi, a dispetto delle grandi speranze che la caduta del muro aveva fatto nascere. E ben presto la speranza s’infranse. La fine del comunismo tirò giù tutto il resto. Seguirono guerre e pulizie etniche, compreso il riapparire dei campi della morte nel cuore dell’Europa.
In questi vent’anni è davvero cambiato tutto, persino le carte geografiche. E anche noi. Guardo le immagini televisive che inquadrano degli anziani signori a stento riconoscibili nei personaggi che furono i protagonisti di quegli avvenimenti. Ma sono proprio loro, Helmut Kohl, Lech Walesa e Michail Gorbaciov. Non s’avverte serenità nei loro sguardi di vecchi, nonostante i sorrisi di circostanza, piuttosto amarezza. Hanno fatto la storia, ma la storia si prende beffa di loro. E di noi.
In serata ho la riunione del Consiglio del Forum. Parliamo del convegno scientifico sul Tibet, della conferenza annuale dell’Osservatorio Balcani e Caucaso, del recente viaggio in Palestina. Le parole che usiamo non nascondono la fatica ed il disincanto. Ci conforta l’idea che in fondo anche il muro di Berlino quel giorno andò in pezzi quasi per caso.