giovedì, 17 settembre 2009
17 Settembre 2009
lunedì, 21 settembre 2009
21 Settembre 2009
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lunedì, 21 settembre 2009
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venerdì, 18 settembre 2009

I giornali di stamattina non parlano d’altro. E’ così che accade, in un rituale sempre più insopportabile. Mesi e mesi di gossip e cronache rosa, la politica ridotta a pettegolezzo, e poi improvvisamente ci si scopre in guerra. Dell’Afghanistan in Italia non si sa praticamente nulla e, del resto, i giornali di questo paese dedicano agli "esteri" (terminologia di un tempo che non c’è più) qualche striminzita paginetta. Alla faccia di un mondo globale e dell’interdipendente. L’Italia è in guerra, con una missione detta di pace ma armata fino ai denti, che dopo otto anni si trova a dover ammettere il più totale fallimento. Qualcuno l’aveva detto che la "libertà duratura" sarebbe stata un disastro ed ora, quanto meno, servirebbe l’onestà intellettuale per riconoscerlo. Il quotidiano "L’Adige" riporta integrale anche il mio intervento che poi trovo ripreso da diversi siti ondine. Anche il Trentino lo riprenderà lunedì. Al contrario la maggior parte dei media sono ridondanti di retorica nazionale. Mi chiedo: dove sta andando questo paese?

Dell’Afghanistan non conosciamo nulla. Vediamo in televisione le immagini desolate di lande semi desertiche ma questo paese è costituito da grandi catene montuose, d’inverno ricoperte di neve, con valli un tempo ricche di vegetazione, piegate ora dai cambiamenti climatici, dalla monocoltura del papavero e da… trent’anni di guerra. Sì, trent’anni di guerra infinita, prima l’armata rossa e poi quella a stelle e strisce.

Pochi sanno, ad esempio, che questo era un tempo il regno dell’albicocco selvatico. L’albicocca proviene originariamente dall’Asia centrale, probabilmente dalla Cina settentrionale. Dalla Cina è arrivata in Persia ed in Armenia, paese dal quale deriva anche il suo nome. I poeti persiani decantavano l’albicocca come il "seme del sole". E fu Alessandro il Grande a portare l’albicocca lungo la via della seta fino all’Europa meridionale e a noi. E non a caso le specie selvatiche si trovano ancora in Afghanistan.

La sua vegetazione è composta da foreste di cedri, pini e altre conifere che crescono sui rilievi ad altitudini comprese tra i 1.800 e i 3.500 metri, mentre sui bassi versanti si trovano arbusti e alberi di nocciolo, pistacchio, ginepro e frassino, insieme alle coltivazioni del papavero. Nelle valli, oltre all’albicocco, crescono diversi alberi da frutta (peschi, peri, meli, mandorli e noccioli) mentre melograni e agrumi si trovano nella zona di Kandahar e di Jalalabad.

In queste montagne, in queste valli, i bombardieri americani hanno scaricato le bombe da profondità, cinquecento chili di esplosivo ciascuna, per stanare Bin Laden. L’effetto è stato l’accrescere del consenso dei Taliban. Prima degli Stati Uniti, l’Unione Sovietica si è giocata in Afghanistan il più potente esercito di terra esistente al mondo e non c’è stato nulla da fare. Anzi, quell’avventura militare ha rappresentato l’inizio della fine dell’Unione sovietica stessa.

Ora non sappiamo come uscirne. Per la verità, qualche idea ci sarebbe e ne ho scritto nell’editoriale di ieri. Quel che è certo è che rimangono le vite spezzate di sei soldati italiani e di tanti civili senza nome e funerali di Stato. Tra loro una differenza che non dovremmo tacere, i sei soldati italiani erano professionisti che avevano probabilmente messo in conto i rischi del mestiere. Ma, come scriveva Pier Paolo Pasolini nel 1968 a proposito degli scontri di Valle Giulia[1] e del suo coraggioso mettersi dalla parte di quei giovani poliziotti che menavano gli studenti in rivolta, anche questi soldati sono per lo più figli della parte più povera di questo paese, attratti da un mestiere e uno stipendio generoso che avrebbe permesso loro di mettere su casa. E invece ci hanno lasciato la vita.

Parleremo anche di questo nella riunione del Consiglio della Pace e i Diritti Umani convocato nel pomeriggio per esaminare la bozza di programma del Forum. Un quadro di spunti, idee, proposte la cui redazione mi porta via gran parte della mattinata. Lo metterò nero su bianco in preparazione dell’assemblea del Forum prevista il prossimo 5 ottobre. Intanto sono una decina di pagine di appunti e di suggestioni che propongo al Consiglio del Forum, non prima però di aver fatto un giro di parola sulle notizie che ci vengono da Kabul e sulle reazioni in Italia. In tutti gli interventi c’è il convincimento che la pace e la democrazia non si esportano con i carri armati e, dalla riflessione comune, emerge la necessità di avere un contatto diretto con quel che di società civile e di pensiero critico emerge nelle città di quel paese. L’associazione Rawa (Revolutionary Association of Women of Afghanistan), nata a Kabul nel 1977 come organizzazione indipendente di donne afghane in lotta per i diritti umani e la giustizia sociale, è una di queste. Dargli voce è nostro dovere e in questa direzione ci muoveremo.

Tornando al programma del Forum, dovremmo cercare di sottrarci dal rincorrere gli avvenimenti tragici che pure scuotono la nostra coscienza civile. L’impostazione che propongo cerca di darsi una propria agenda di lavoro, affinché la pace entri a pieno titolo nella cultura politica ed amministrativa della nostra comunità. Il lavoro di ricognizione fatto durante l’estate è stato ricchissimo di spunti e di criticità. Nonostante parli per tre quarti d’ora vedo attenzione e curiosità (e spero anche condivisione) per una proposta che decisamente propone un netto cambio di passo.

Finiamo che sono quasi le 8 di sera. La giornata però non è finita. Mi aspetta un incontro a Sopramonte, promosso dal circolo Acli, sul tema della costruzione del Consorzio di Miglioramento Fondiario nella zona. E’ questa una proposta che ho avanzato quattro anni fa ad un gruppo di giovani agricoltori ed ora, dopo averci lavorato per mesi e mesi, finalmente dovremmo essere in dirittura d’arrivo. Ma le opposizioni sono ancora molte, in una comunità in deficit di coesione sociale. La serata è una fotografia del nostro tempo, dove emergono l’atomizzazione sociale, gli egoismi, le diffidenze. Con il presidente della Circoscrizione e quello dell’Asuc (Usi civici) a remare contro, semplicemente cavalcando gli umori di quella parte della comunità che guarda con sospetto ogni cosa. O forse per non veder ridimensionati quei piccoli grandi poteri che li tengono a galla.

Intervengo parlando del Consorzio come una delle linee guida della Finanziaria 2009 in agricoltura. L’altra è quella del sostegno ai prodotti di qualità del territorio e così dico due parole sulla proposta di legge sull’educazione al consumo consapevole e le filiere corte in discussione in Consiglio provinciale che mi vede fra i promotori. In assenza di argomenti contrari, qualcuno si affida allo scetticismo. Ma la gran parte dei presenti accoglie la proposta con favore, almeno questa è l’impressione che mi porto via alla fine dell’incontro dopo aver consegnato a ciascuno dei presenti una copia della proposta.

Ora ho finito per davvero. A cena mi stappo una bottiglia di Sauvignon del Fontana, davvero ottimo. Non apro nemmeno il computer, così nemmeno mi accorgo che il provider ha staccato la spina del sito, oscurandolo anche sabato, domenica e buona parte del lunedì.


[1] Pasolini scriveva: «Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri»

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