venerdì, 11 settembre 2009
11 Settembre 2009
lunedì, 28 giugno 2010
14 Settembre 2009sabato, 12 settembre 2009
In genere quando sono a Prijedor è un susseguirsi di incontri. E’ normale che sia così. Ho però l’impressione che non sempre da questa forma di interlocuzione emerga la realtà di ciò che sta avvenendo in questo microcosmo della mondialità. Ho posto più volte questa preoccupazione ai nostri più stretti collaboratori, chiedendo loro di inviarci di tanto in tanto dei flash che ci permettano di comprendere le dinamiche sociali, culturali e di potere, fuori dall’ufficialità (e talvolta dalla banalità) delle riunioni. E’ quello "sguardo" necessario per non continuare in maniera ripetitiva le nostre attività, per mettere alla prova le nostre stesse azioni. Ma è la cosa più difficile da raccogliere.
Allora negli interstizi e nelle pause fra un incontro e un seminario cerco di impressionare immagini utili a descrivere quel che accade. Vedo rasa al suolo Keraterm. Di quella vecchia fabbrica di mattoni non rimane che l’imponente ciminiera ed un piazzale che ben presto lascerà spazio, così immagino, all’ennesimo centro commerciale. Di quel che durante la seconda guerra mondiale fu uno dei centri del grande sistema concentrazionario ustaśa (gli alleati di Hitler) che faceva capo al campo di sterminio di Jasenovac, e che nell’aprile del 1992 (per effetto del fatto che gli ingorghi della storia o vengono sciolti nell’elaborazione collettiva o si ripresentano) tornò ad essere uno dei campi della pulizia etnica, non rimane più nulla.
Faccio fatica a riconoscere la strada di accesso alla città provenendo da Banja Luka per l’imperversare di nuovissime strutture commerciali, a testimonianza di un’economia che si struttura – esattamente come avevamo previsto – nelle forme della post modernità. Si vende di tutto ed è un mondo quasi surreale.
La ricostruzione delle case di abitazione laddove un tempo erano solo macerie è avvenuta. Ora sono pure intonacate e colorate e mediamente sono più belle delle altre case. C’è un piccolo particolare: non sono abitate. I vecchi abitanti sono rientrati (cosa che non è avvenuta in ogni parte della Republika Srpska), hanno ricostruito la loro casa e se ne sono ritornati nelle terre dell’esilio, talvolta lasciando qui qualche parente anziano. Ci ritornano d’estate o nelle feste di famiglia. Così la pulizia etnica, come le mine, ha un effetto che continua nel tempo.
Il primo incontro della giornata rappresenta un passaggio tutt’altro che formale e scontato. L’ADL (l’Agenzia della Democrazia Locale) non è più solo una forma di partenariato internazionale. E’ anche una ong locale e per formarla concorrono gran parte dei nostri interlocutori in rappresentanza delle loro associazioni e della Municipalità di Prijedor. In tutto sono una ventina di realtà e il fervore con cui discutono lo statuto e la designazione delle cariche sociali sta ad indicare il valore che vi assegnano. E’ questo un passaggio importante verso l’assunzione diretta di responsabilità da parte dei soggetti del territorio, al quale abbiamo lavorato nel corso degli anni e che, in tendenza, dovrebbe far sì che anche il delegato sia locale. Annalisa Tomasi ha dedicato quattro anni della sua vita in questo lavoro, seguita da Patrizia Bugna, Marco Oberosler, Giuseppe Terrasi e Simone Malavolti che ora fa la spola fra l’Italia e la città bosniaca. L’incontro è molto positivo.
In coda alla riunione mi incontro con l’assessore alle attività economiche del Comune. Lo aggiorniamo sulle cose che abbiamo discusso la sera precedente con "Preda" e sulla realizzazione di una "due giorni" sul tema della crisi economica internazionale e i territori. Si propone che la prima giornata sia dedicata al confronto delle esperienze ed il secondo alla visita delle realtà più interessanti dell’economia regionale. Regionale perché Prijedor è città capofila di un’area euroregionale che può accedere ai fondi europei per lo sviluppo locale. Prendo l’impegno di confrontarmi con il presidente della PAT affinché sia lui a capo della delegazione trentina, fra novembre e dicembre, compatibilmente con la nostra finanziaria.
Una breve pausa e ci spostiamo dall’Hotel Prijedor alla sede dei giovani dove è previsto il seminario con i nostri collaboratori più stretti. Avverto prima ancora di iniziare che il clima non è esattamente quello di un momento formativo e allora provo ad impostare la cosa come una conversazione sulla cooperazione internazionale. E’ come se raccontassi la genesi del libro "Darsi il tempo" ("Datisi vreme", verrebbe in serbo-croato-bosniaco) e la cosa mi sembra più leggera e sostenibile. Insisto sul bisogno di mettere a fuoco quel che accade, di non rincorrere gli avvenimenti, di guardare dentro ai processi come condizione per fare buona cooperazione.
Verso le 13.30 arriva il pranzo, un catering davvero speciale preparato dalla rete di Promotour, le realtà associate del turismo responsabile, un servizio che stanno diffondendo, economico e di grande qualità.
Riprendiamo i lavori ed il confronto si sviluppa sull’esperienza del nostro lavoro confrontata con quello di altri soggetti. Intervengono in molti e ho l’impressione che questo spazio di pensiero dovrebbero imporselo periodicamente, per evitare di banalizzare le attività. Ragioniamo molto sul tema della "reciprocità" che non è "aiuto in cambio di umanità" ma capacità di riflettersi nell’altro. Così parliamo della situazione in Italia, del leghismo che cresce, delle paure che è necessario prendere per mano, dei luoghi comuni che riguardano, fra l’altro, proprio questa parte dell’Europa. E del fatto che se l’Europa continua ad essere una chimera, è anche perché non siamo riusciti a far vivere questa reciprocità ed un’altra idea di cooperazione.
Verso le 16.30 ci siamo detti non proprio tutto ma abbastanza. Di lì a poco c’è l’incontro con il Forum civico, la realtà che in questi anni è cresciuta attorno ai temi dell’elaborazione del conflitto e della memoria. Nell’ultimo anno l’attenzione si è centrata attorno alla presentazione di libri e di autori, così sono arrivati a Prijedor scrittori e giornalisti come Zlatko Dizdarevic, Svetlana Broz, Drago Hedl. Viene proposta per l’attività futura la proiezione del film "Vukovar" che proprio Drago Hedl insieme ai giornalisti di B92 di Belgrado hanno realizzato due anni fa ed anche una delegazione di cittadini di Prijedor in quella città martire. Tanto per mettere una nota di colore, gli racconto di un ottimo agriturismo non distante da Vukovar, "Antin Stan" si chiama ed i proprietari sono proprio amici di Drago Hedl. Si parla anche di una partecipazione del Forum al Convegno internazionale dell’Osservatorio sui Balcani dedicato a "Il lungo ‘89" e che si svolgerà a Trento a metà novembre, come principale manifestazione a vent’anni dalla caduta del muro di Berlino. Insomma, ce n’è abbastanza da qui a fine anno.
Finito l’incontro, propongo a Diego di fare un giro in auto nei luoghi più segnati dalla guerra degli anni ’90, dove ancora sono vive le tracce della tragedia. Andiamo ad Hambarine, Rizvanovici, Ljubija. La povertà e il degrado presenti in quest’ultimo villaggio impressionano Diego, così come le macerie della vecchia miniera.
Torniamo a Prijedor, ceniamo in un luogo nella periferia dove è tutto finto tranne la famiglia di persone non più giovani che ci lavora. Ritorniamo in città e quella che prende corpo la sera sembra essere un’altra città: centinaia di giovani che fanno lo struscio e frequentano gli innumerevoli bar e localini sorti ovunque. Le ragazze sono tiratissime ed il contrasto con la città del mattino frequentata da anziani un po’ malmessi è stridente.
Ci telefona Azra, responsabile del centro giovani di Hambarine. Non poteva essere presente al seminario perché doveva lavorare e dice che gli farebbe piacere incontrarci. Dopo pochi minuti siamo seduti insieme e ci racconta con entusiasmo quel che sta facendo. Azra è una ragazza straordinaria, ha una forza d’animo e una rara capacità organizzativa, nonostante quel che la vita gli ha riservato, vittima della pulizia etnica, finita in campo di concentramento, le violenze subite, il fratello e i parenti uccisi. Ci propone di andare a vedere come si è strutturato il centro giovani ad Hambarine, una decina di minuti di auto dalla città. La sede del centro è nel grande edificio che negli anni della ricostruzione rappresentò il rifugio per le persone che avevano deciso di rientrare ma non avevano ancora dove dormire perché le loro case erano distrutte. In quello stesso luogo contribuimmo ad organizzare come Progetto Prijedor (insieme al CAAF Cgil) un ambulatorio medico che ancora funziona bene, dedicato alla figura di Federico Biesuz, operaio, sindacalista e consigliere comunale della città di Trento, scomparso una decina di anni fa.
Effettivamente il centro giovani è molto bello ed accogliente. Azra vi dedica il suo tempo in maniera molto dinamica: le vicende della vita l’hanno messa in contatto con mezzo mondo e giustamente cura queste relazioni (è spesso in giro per il mondo) per sostenere la sua comunità e l’attività con i bambini di Hambarine nella Lieva Obala, la riva sinistra.
Giornata intensa. Dormiremo come i sassi.