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domenica, 23 agosto 2009

Sono rientrato ieri sera dalla Romania. Un viaggio del turismo responsabile che un po’ ho accompagnato e un po’ ho fatto come turista. Giorgio Nita, amico e musicista, impegnato negli ultimi anni per affermare il turismo responsabile nel suo paese, ci accoglie all’aeroporto di Bucarest e ci accompagna attraverso la Transilvania e la Moldavia, fra castelli e monasteri ortodossi. Oltre a me e Gabriella, altri sei viaggiatori curiosi che per la prima volta si recavano in questo paese e che rimangono stupefatti dalla bellezza della natura, dalla profondità della storia che i luoghi trasmettono, dal fascino delle opere d’arte che si sono conservate fino ai nostri giorni, dall’accoglienza delle famiglie dove alloggiamo. Ed anche dal contrasto fra arretratezza e postmodernità.

Mancavo da un paio d’anni da questo paese e avevo voglia di comprendere di persona come stava cambiando. E capire fin dove era arrivato questo contrasto. Le città dove si costruiscono palazzi avveniristici e i villaggi dove non c’è nemmeno l’acqua in casa. Le multinazionali che hanno delocalizzato le loro attività in aziende blindate dove chi lavora non ha alcun diritto e i carretti trainati da cavalli che percorrono gran parte del paese. I centri commerciali che crescono come i funghi, ovunque, trasformando le periferie delle città in "non luoghi" e i piccoli negozietti aperti "24 ore non stop" dove fatichi a trovare prodotti che non siano le peggiori cose della globalizzazione, i casinò che hanno preso il posto dei vecchi caffè di Bucarest e la vecchietta che all’entrata chiede come schernendosi l’elemosina.

Ma il contrasto, a ben guardare, è solo apparente. Nel vissuto delle persone, il post comunismo è esattamente questo. Il gettarsi mani e piedi, senza il minimo spirito critico, nell’ultra capitalismo. Perché in questo paese tutto è lecito in nome del denaro. Difficile cogliere, almeno nei pochi giorni di osservazione, anticorpi culturali in grado di mettere almeno un freno a tutto ciò. Nemmeno la religione riesce in questo, che pure sembra rappresentare l’unico ambito aggregativo in un mondo dove l’individualismo fa da padrone assoluto. E dove l’ateismo di stato ha lasciato campo libero a fenomeni come la superstizione di massa.

Se cercate l’eterogenesi dei fini, qui non avrete problemi…

Contrasto apparente, dicevo. Lungo la principale via di comunicazione verso Bucarest, strada trafficata da camion e automobili come in ogni altra parte d’Europa, una gomma del nostro pulmino si sgonfia. Cambiarla è un problema se i mezzi sono vecchiotti ed un bullone non ne vuol sapere di svitarsi. E allora mentre Giorgio cerca un "vulcanizer" noi ci fermiamo in un piccolo market lungo la strada. E’ un immergersi in questo contrasto. La signora che gestisce il piccolo market parla l’italiano perché ha fatto per qualche mese la badante in Sicilia, poi il matrimonio e i figli l’hanno fatta rientrare e così ha messo su questa attività. Vorremmo mangiare qualcosa: pane, formaggio, un pezzo di carne affumicata e qualche mela sono le uniche cose locali in un delirio fatto di plastica. Mentre siamo seduti nei tavolini esterni, dei ragazzi litigano pesantemente fra loro. Non c’è grazia nei loro comportamenti di maschi volgari e violenti. Ma all’improvviso arriva una limousine bianca che sembra uscita da un film americano degli anni trenta. Contrariamente a quel che uno si aspetta, scende un ragazzo poi non molto diverso da quelli che stanno litigando, e tutto si quieta. E’ il capetto e tutti lì a mostrare il proprio ossequio.

Questa è l’umanità che viene.

Non è tutto così, sia chiaro. Le persone che abbiamo incontrato nel nostro viaggio hanno anche il sorriso aperto e gentile della nipote della signora Rodika che in costume moldavo di offre come benvenuto il pane con il sale della tradizione ortodossa locale, la forza della signora Maria rimasta sola con un figlio a 29 anni dopo che suo marito è stato sbranato da un orso e che manda avanti con attenzione e garbo l’azienda agrituristica dove siamo ospiti, l’armonia delle monache che coltivano i fiori coloratissimi del monastero di Agapia o di Humor. Ma quel che ha lasciato il comunismo dietro di sé è il peggio del peggio. E lungo tutto il viaggio mi chiedo come potranno (potremo) uscirne.

L’Europa potrebbe rappresentare un ancora di salvezza. Ma l’Europa non c’è e quella che qui si vede dopo l’allargamento a 27 non è certo un vincolo di civiltà sociale e giuridica. Credo comunque che quella possa essere una strada, ma richiede la crescita di una cultura capace di coniugare amore per il territorio e responsabilità globale.

Già, il nostro dibattito politico fatica ad accorgersene.

Enzo, Gabriella, Giuliana, Gloria, Iva, Manuela, Pasquale sono persone squisite ed il viaggio risulta davvero piacevole. Non avrebbero immaginato una natura tanto bella e quel che si portano a casa richiede di essere metabolizzato. Così ci incontreremo a breve.

Il richiamo alle cose di qui durante la settimana avveniva di tanto in tanto con qualche telefonata e messaggio, ma niente di particolare. E’ il rientro a Trento che mi re-immerge in un dibattito politico che non si accorge del mondo e che mi appare più virtuale che reale. Vorrei una politica capace di ridurre questa distanza, che sappia affrontare il tempo con uno sguardo strabico, insieme locale e globale.

Dedicherò la settimana entrante a scrivere di questo. E a cercare di ricondurre il congresso del PD del Trentino alle idee piuttosto che alle logiche di potere (o di vecchie appartenenze) che sembrano prevalere. 

 

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