lunedì 6 luglio 2009
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mercoledì 8 luglio 2009
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martedì 7 luglio 2009

Fra i giornali che sfoglio stamane mi colpisce un articolo de "la Repubblica" dedicato alle manovre di posizionamento nell’avvio della fase congressuale del PD. Una rappresentazione nella quale le idee tendono a sfumarsi e dove le identità politiche si evincono dallo schema di alleanze piuttosto che dalle proposte di nuovi profili culturali. In tutto questo è come se il campo dell’analisi sociale e delle grandi trasformazioni che attraversano il pianeta e l’esistenza umana si presentasse sempre uguale a se stesso e lo spazio per la ricerca e l’elaborazione politica collettiva non esistesse o risultasse addirittura un po’ naïf.

Mi vengono in mente i ragazzi di Pisa che nei giorni scorsi mi parlavano del loro sindaco, il "democratico" Filippeschi. Non lo facevano in maniera lusinghiera, certo, ma la cosa che mi aveva colpito era che verso l’idea del PD come soggetto in grado di costruire nuove sintesi di pensiero non si sentivano affatto estranei. Quasi ad evidenziare una distanza fra progetto e sua rappresentazione reale. Quasi che quest’ultimo fosse sequestrato da un ceto politico tanto tenace quanto capace di costruirsi attorno un consenso fatto di scambio piuttosto che di affinità culturali.

Credo che la crisi della politica sia in primo luogo difficoltà di rappresentare il nostro tempo. Di abitare i processi della modernità avendo qualcosa di dire. Di restituire la politica ad una dimensione che sia anche di pensiero e non solo di gestione del potere.

Tutto questo non avviene per un insieme di ragioni, non ultima la necessità di riattivare un flusso virtuoso fra società e luoghi della politica, fatto di formazione, conoscenza, sensibilità sociale, responsabilità ed altro ancora. Tanto per capirci, mi è estranea l’idea che saremmo in presenza di una società sana e di una politica malata. Però non ci sono dubbi, la politica è malata. E se nel PD non irromperà il popolo delle primarie (strumento che pure non amo, tanto sono avverso alla cultura plebiscitaria) e non si formerà contestualmente una classe dirigente capace di nuova sintesi culturale rispetto alle storie politiche che nel PD sono confluite, non faremo molta strada.

Per questo vorrei che prendesse forma un congresso vero, dove si discute di idee (tesi si diceva un tempo, quando alla politica era richiesta capacità di visione), senza aver paura di un confronto anche acceso, purché circolino pensieri e proposte politiche.

Faccio qualche esempio. Vorrei un partito europeo. Non solo perché l’Europa – oggi più ancora di ieri – è un progetto politico. Progetto politico post-nazionale, federalista, sociale (o pensiamo che il lavoratore rumeno abbia meno diritti di quello nato in questa nostra parte d’Europa?), multiculturale (e dunque mitteleuropeo, mediterraneo, balcanico…), di pace. Lo stesso si potrebbe dire per il concetto di territorio, la dimensione decisiva per stare in un mondo globale ed interdipendente. Che sa declinare il concetto di sostenibilità e di sobrietà (la cultura del limite, la più grande sfida culturale del nuovo secolo). E così via.

Ne ho parlato ieri con Giorgio Tonini, ne parlo oggi con Luca Zeni. Luca è di un’altra generazione ma avverte il bisogno di riannodare le fila di un racconto, di una narrazione politica fatta di pensiero, di conoscenza e di esperienza. Il colloquio con lui, nell’intervallo di un Consiglio regionale immerso nel vuoto, mi sollecita un tema che da tempo coltivo dentro di me. Quello di elaborare un pezzo della nostra storia recente, parlo degli anni ’70 e ‘80, come condizione ineludibile per un passaggio di testimone che non sia ridotto a "rivendicazione generazionale". Dovremmo darci, parlo della mia generazione, la distanza per farlo, ma non allentiamo la presa. E così lasciamo che la storia sia raccontata dai reduci o dai rancorosi (tranne qualche eccezione, come il libro di Raniero La Valle, "Prima che l’amore finisca" – vedi sezione libri).

Parlo con Luca di una cosa che mi è accaduta nei giorni scorsi e di cui non ho fatto cenno in questo diario. Durante una riunione con un gruppo di persone (della sua generazione) che lavorano con me nella cooperazione di comunità, parlando di animazione del territorio, mi ha sorpreso il fatto che nessuno di loro sapesse cos’era "il progettone", ovvero quella straordinaria intuizione politica che ha permesso al Trentino di affrontare la deindustrializzazione degli anni ’80 con una politica attiva capace di coniugare lavoro e ambiente.

Ricostruire legami, di ogni tipo e dunque anche generazionali: credo che anche a questo dovrebbe servire la politica. Il PD ne è consapevole? Anche di questo dovrebbe discutere un congresso vero.

Nel frattempo il Consiglio regionale consuma il suo rituale, compresa una sospensione prima del tempo per effetto di un po’ di diserzioni. Certo, non è un grande spettacolo. E domani, non si preannuncia molto diverso. Se non per il fatto che è il mio compleanno.

 

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