martedì, 1 ottobre 2019
1 Ottobre 2019giovedì, 26 dicembre 2019
26 Dicembre 2019mercoledì 24 giugno 2009
I mutamenti climatici stanno mostrando i loro effetti e su Reggio si scatena un vero e proprio nubifragio. Andiamo con Mariella in aeroporto per noleggiare un’auto che lasceremo a Napoli dopo qualche giorno di vacanza fra Maratea ed il Cilento. Partiamo ed è un diluvio che ci rende il viaggio lungo la Calabria sicuramente più fresco ma anche più lento, visto che con l’acqua che scende non è il caso di correre.
La costa della Calabria, naturalmente bella, fa i conti con l’azione dell’uomo ed è un continuo di case, spesso in costruzione o semplicemente lasciate a metà, senza soluzione di continuità. Anche l’autostrada ti dà il segno di una regione per anni abbandonata a se stessa e segnata dalla criminalità: ovunque interruzioni di carreggiata, lavori lasciati sospesi per anni, viadotti in condizioni penose. E’ la "Salerno – Reggio Calabria" e bene aveva fatto Tonino a dirmi che in auto non sarei mai arrivato in tempo per la conferenza a Messina.
Addolora vedere una regione dalle straordinarie potenzialità messa così, alla mercé dell’abusivismo (La Repubblica del giorno dopo darà notizia di un abuso ogni 150 metri lungo la costa calabra), della speculazione privata e dell’incuria. E devo dire che lasciandoci alle spalle Praia a Mare, entrando in Basilicata, l’aspetto è decisamente diverso, se non altro nella cura delle strade. C’è qua e là qualche scheletro di cemento, segno che un po’ ci hanno provato anche qui, ma l’impressione è che Maratea tutto sommato mantenga la sua fama di città della cura dell’ambiente. Da quando siamo stati qui in vacanza la prima volta sono passati trent’anni e un po’ fatichiamo a riconoscere le spiagge, un tempo pressoché deserte ed oggi ricoperte di ombrelloni e sdraio in attesa che arrivi la massa dei turisti. Per nostra fortuna siamo a fine giugno, il turismo di massa deve arrivare e dunque scendere a mare è ancora un piacere. Alziamo gli occhi e quello che un tempo era l’hotel Marisdea direttamente a picco sul mare oggi è un edificio abbandonato e pericolante, conservando dell’antico fascino solo qualche tratto di colore azzurro. Anche Maratea porto non è più la stessa, grazie alle centinaia di imbarcazioni che lì ormeggiano. Un porto per riccastri, si direbbe dal tipo di natanti parcheggiati, che però hanno cambiato il volto del luogo. Ed anche il suo genio, un tempo rappresentato da Za’ Mariuccia che ci cucinava gli spaghetti alle vongole veraci come solo lei sapeva fare. Il locale c’è ancora, è blasonato con "il buon ritorno", ma non è più lo stesso. Con Gabriella decidiamo di dedicarci "un pranzo da pascià" (trent’anni valgon bene una cena con i fiocchi) ma tranne il tavolino sul balcone il resto è una grande delusione. E il prezzo del conto, lasciamo stare…
In compenso ci sistemiamo in un posto molto carino e in mezzo alla macchia mediterranea, che ci farà da base per un paio di notti. Riscoprire dopo un tempo così lungo il vecchio paese è un’avventura: cerchiamo ristoranti che non ci sono più, scopriamo che il tempo si è portato via persone conosciute, ma anche che la vecchia Za’ Mariuccia c’è ancora. Chissà cosa penserà del suo locale ora così esclusivo ma che della sua anima i figli hanno conservato ben poco. In compenso nel cuore della città vecchia scopriamo un locale ricco degli antichi sapori della Lucania che ci ripaga degnamente della sera precedente.
Ripercorriamo verso nord le strade che ci hanno visti poco più che ragazzi, ma dopo tutto questo tempo è davvero difficile raccapezzarsi. Strade costeggiate dal mare lungo le quali dormivamo in spiaggia o in auto ed ora occupate da stabilimenti balneari tutti uguali, piccoli centri abitati ora cresciuti a dismisura, campeggi con migliaia di bungalow pronti ad ospitare un turismo senza qualità. Sono brutti ed inospitali da vuoti, figuriamoci quando brulicheranno di migliaia di persone, quintali di creme nauseabonde, il vociare di chi non ama il silenzio.
Grazie a Maurizio, amico di Salerno conosciuto nelle frequentazioni balcaniche e che si è da poco ristrutturato un vecchio casolare in mezzo gli ulivi, troviamo un agritur lontano dalla bolgia (non oso immaginare la calca dei mesi di luglio e di agosto), proprio sotto il vecchio centro di Pisciotta, antico borgo medievale che ha conservato nonostante le anonime costruzioni della modernità un po’ del suo antico fascino. L’agriturismo "La locanda sul fiume" dove siamo alloggiati si rivela oltre ogni nostra aspettativa, nel gusto con il quale è stato ricostruito (era uno dei più grandi frantoi dell’ottocento), nell’accuratezza delle stanze e negli straordinari sapori della cucina di Sonia.
Decidiamo così di goderci per qualche giorno questo luogo, un piccolo paradiso in una Campania tanto ricca quanto offesa. Il turismo ha portato per qualcuno affari d’oro, ma il territorio complessivamente si è impoverito. Un mare di negozi e magazzini che vendono cianfrusaglie di ogni tipo "made in China", ma la ricchezza più vera, la terra e l’ulivo, sono in grande sofferenza. Perché faticare se c’è un business molto più redditizio e molto meno faticoso? E così nei villaggi turistici i prodotti del territorio non ci sono e sono in pochi a richiederli. Gli agriturismi si contano sulle dita. Le spiagge affollate sono un inferno di rumore e di banalità. Per trovare amore per il territorio bisogna spostarsi nell’entroterra, dove la cultura terranea ancora resiste ed il piacere del "buono, pulito e giusto" si coniuga con quel che dà la terra (e il mare). Scoviamo così un’enoteca proprio a due passi da Pisciotta, molto spartana ma invece ben fornita: è un piacere ritrovare il Fiorduva o il Pallagrello bianco ed altri vini campani di grande pregio. Uno spuntino diventa un signor pranzo, annaffiato da un Fiano "Rocca del principe" che vale la giornata. Mi accorgo solo alla fine che si tratta di un locale segnalato da Slow Food.
Eravamo gli unici ospiti e vi assicuro che il conto era più che onesto. Mi convinco oltremodo che "buono, pulito e giusto" sia un programma politico che fa la differenza. Ma le logiche che prevalgono sono ben altre. Figuriamoci se i sindaci di questi Comuni baciati dall’oro blu dedicano le loro risorse per investire nella cultura locale, nella conoscenza o nelle reti. Wireless semplicemente non esiste. E così il mio diario ne risente un po’. Una ragione in più per staccare la spina.