"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Certo che c’era qualcosa di più profondo, come hanno abbondantemente documentato Richard L. Rubenstein, nel suo esemplare “The Cunning of History. The Holocaust and the American Future” (1975) e Zygmunt Bauman in “Modernità e Olocausto”.
La loro tesi è che Auschwitz non sia un episodio eccezionale, un’aberrazione, ma si inserisca, come suo culmine, in una tradizione di schiavismo e di eliminazione dell’umanità giudicata superflua che è sempre esistita. È il culmine di una tendenza globale, transculturale, duratura, fatta di dominio burocratico, nazionalismo, sfruttamento del lavoro forzato in nome dell’avidità e del profitto e smaltimento dell’eccesso di risorse umane. Prima era soprattutto un fenomeno che riguardava il Terzo Mondo, dove si sono consumati diversi Olocausti nel dopoguerra (pensiamo anche solo alle mine e ai bombardamenti chimici che uccidono e causano malformazioni ancora oggi, senza toccare la questione delle carestie evitabili e delle malattie curabili). Oggi il mondo intero è schiavo di questo paradigma.
Il fatto che alcuni politici e burocrati possano implementare odiernamente questo tipo di politiche, su scala molto ridotta ma, pur nel confronto, non certo insignificante, in maniera in diversi casi totalmente inconsapevole, come conseguenza della confusione morale e cognitiva che domina le loro menti e la nostra epoca, non diminuisce l’intensità dell’angoscia e della ripulsa nel constatare come certe logiche si perpetuino.
Nell’Occidente, per ogni aumento dell’1% del tasso di disoccupazione è mediamente aumentato dell’1% il tasso di suicidi. In Grecia la situazione è anche peggiore: ora ha il tasso di suicidi più alto d’Europa, sebbene i paesi del Mediterraneo abbiano storicamente basse propensioni al suicidio rispetto al Nord Europa ed all’area alpina. Le misure di austerità imposte dalle troika ai Greci [se lavorate sodo e vi sacrificate vi libererete dall’indebitamento: “Arbeit macht frei”] hanno finora causato un aumento del 40% dei suicidi (dati del Ministero della Sanità greco) e si parla di migliaia di casi. A Srebenica le vittime furono 8.372, in Grecia si stima che entro la fine dell’anno il numero di suicidi complessivo avrà superato la metà di questa soglia (erano state oltre 2500 tra il 2010 ed il 2012).
Migliaia di esseri umani (e relative famiglie) sacrificati sull’altare dei mercati, della competitività, della crescita compulsiva, della speculazione forsennata, della dismisura del nostro tempo. E non sono solo le persone a morire, è anche l’idea di un’Europa e di un’umanità solidale, affratellata.
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Certo che c’era qualcosa di più profondo, come hanno abbondantemente documentato Richard L. Rubenstein, nel suo esemplare “The Cunning of History. The Holocaust and the American Future” (1975) e Zygmunt Bauman in “Modernità e Olocausto”.
La loro tesi è che Auschwitz non sia un episodio eccezionale, un’aberrazione, ma si inserisca, come suo culmine, in una tradizione di schiavismo e di eliminazione dell’umanità giudicata superflua che è sempre esistita. È il culmine di una tendenza globale, transculturale, duratura, fatta di dominio burocratico, nazionalismo, sfruttamento del lavoro forzato in nome dell’avidità e del profitto e smaltimento dell’eccesso di risorse umane. Prima era soprattutto un fenomeno che riguardava il Terzo Mondo, dove si sono consumati diversi Olocausti nel dopoguerra (pensiamo anche solo alle mine e ai bombardamenti chimici che uccidono e causano malformazioni ancora oggi, senza toccare la questione delle carestie evitabili e delle malattie curabili). Oggi il mondo intero è schiavo di questo paradigma.
Il fatto che alcuni politici e burocrati possano implementare odiernamente questo tipo di politiche, su scala molto ridotta ma, pur nel confronto, non certo insignificante, in maniera in diversi casi totalmente inconsapevole, come conseguenza della confusione morale e cognitiva che domina le loro menti e la nostra epoca, non diminuisce l’intensità dell’angoscia e della ripulsa nel constatare come certe logiche si perpetuino.
Nell’Occidente, per ogni aumento dell’1% del tasso di disoccupazione è mediamente aumentato dell’1% il tasso di suicidi. In Grecia la situazione è anche peggiore: ora ha il tasso di suicidi più alto d’Europa, sebbene i paesi del Mediterraneo abbiano storicamente basse propensioni al suicidio rispetto al Nord Europa ed all’area alpina. Le misure di austerità imposte dalle troika ai Greci [se lavorate sodo e vi sacrificate vi libererete dall’indebitamento: “Arbeit macht frei”] hanno finora causato un aumento del 40% dei suicidi (dati del Ministero della Sanità greco) e si parla di migliaia di casi. A Srebenica le vittime furono 8.372, in Grecia si stima che entro la fine dell’anno il numero di suicidi complessivo avrà superato la metà di questa soglia (erano state oltre 2500 tra il 2010 ed il 2012).
Migliaia di esseri umani (e relative famiglie) sacrificati sull’altare dei mercati, della competitività, della crescita compulsiva, della speculazione forsennata, della dismisura del nostro tempo. E non sono solo le persone a morire, è anche l’idea di un’Europa e di un’umanità solidale, affratellata.